صور الصفحة
PDF
النشر الإلكتروني

Se pace, or d'onde ho guerra, e tanto impaccio?
Se strazio, perchè il cor nol fugge e teme?
Se un gioco, perchè ognun ne langue e geme?
Se libero, a che tiemmi avvolto al laccio?
S'ei non percote, onde ferir mi sento?
Se dolce, ond' ha l'assenzio amaro e 'l tôsco?
Se grato, perchè in premio dà tormento?
Ahi lasso me ch' egli è sì oscuro e fosco,

[ocr errors]

Che quanto più di lui faccio argumento, Meno i suoi vari effetti alfin conosco. APOCOPE. Ved. ACCORCIAMENTO.

APOFTEMMI. Definisconsi per detti illustri di persone illustri. Si distinguono da' proverbi in questo, che i proverbi sono oscuri, nè mostrano ove si tendano se non enimmaticamente, laddove gli apoftemmi sono chiari ed aperti. Se ne scrivono in verso, ed il Quadrio ne riporta diversi di Luigi Alamanni, che, sebbene da lui detti fossero epigrammi, sono però veri apoftemmi. Tra tanti uno ne sceglierem per esempio : Socrate, per morir preso il veleno,

Disse agli amici suoi lieto e sereno :
Perchè piangete voi, se in s brev' ora
Di dolor e di carcer esco fuora?

[ocr errors]

APOLOGO. Favoletta poetica, in cui si finge qualche accidente breve e succoso occorso fra uomini e bruti o fra bruti soli, ed ancora tra cose insensate, le quali operar si fauno, e parlare come ragionevoli. Oltre la brevità, l'apologo ama di esser ideato con immagini semplici e^naturali, non ammette episodi, rifiuta i soverchi

abbellimenti, e richiede uno stile facile e piano. Tende questo ad ammaestrar l'uomo nel giusto e nell' onesto, ponendogli sott'occhio i vizi e le virtù con certi tratti che giovano a correggerlo, se è vizioso, a moderarlo nelle sue passioni, e ad istruirlo nella prudenza, e ne' doveri del suo stato. Per ottener meglio questo fine, si è stabilito di aggiugner sempre nel fine dell'apologo la sua moralità. Troviamo autorizzato l'apologo fin dentro le sacre Carte, leggendosi al capo 9 dei Guidici quello delle Piante che si vollero scegliere un Re, ed al capo 14 del libro 4 de' Re, incontrandosi quello del Cardo, che richiese per moglie la figliuola del Cedro. Tra' Greci il più antico componitore di simili favolette fu Esopo Frigio; e sono state tanto felici le produzioni di lui, che non solo si sono sempre tenute in pregio, ma ancora se ne sono fatte traduzioni in tutte le lingue. La latina di Fedro è molto commendabile. Nel nostro idioma se ne leggono varie versioni, la più antica delle quali fatta da Accio Zucco Veronese, fu impressa in Verona nel 1479 in 4. Gio. Mario Verdizzotti, ed altri poeti volgari si sono provati non solo a tradurre le medesime ma eziandio a darcene alcune di loro invenzione. Bernardino Baldi cento ne stese bre vissimi in prosa, che dal Crescimbeni furono poi in verso trasportati. Sino a' di nostri però si era quasi disperato di arricchir l'italica poesia d'un favoleggiator originale, siccome arricchita se ne reputa la Francia per La-Fontaine ; quando

[ocr errors]

nel 1773 si sono vedute apparire dalle stampe di Bologna Favole settanta Esopiane, le quali, benchè anonime, si sa tuttavia essere del Roberti. Nel discorso previo parla l'Autore assai magi. stralmente di questa maniera di poesia; ma che in pratica abbia toccato il segno, io nol voglio dir certamente. Un giovane cavaliere ha fatto uscir dalle stampe di Parma i Discorsi d'un Pap-1 pagallo e d'una Gazza nel 1775, ne' quali pretende tutti notarne i difetti. Se abbia fatto bene a voler frammischiare nel libro esempi di favole sue, lascio che altri il decida. Osservo che egli in una nota (1) tassa le Favole del P. Giuseppe Manzoni, con dire, che al fine del conto non sono che un riassunto di fiorentinerie e di ricercatezze. Io; sebbene mi reputi l'ultimo tra quanti possono giudicare in materia di poesia, stimo oltre modo quelle Favole del P. Manzoni, e vedo in esse la brevità, la chiarezza e tutte le altre prerogative che lodansi nelle Favole Esopiche; osservo specialmente in esse ridotta sempre al chiaro la moralità, cosa spesse volte nogletta dal Roberti, non meno che dal critico. che lo punge. Manca a queste il verso del rimanente si possono riputare le migliori che corrano oggidì. fra le mani de' letterati.

Di

APOSTROFE. Figura a' poeti famigliare allorchè sono più dai loro affetti agitati. sesi ancora conversione, e si è quando si ri

(1) Disc. III, pag. 44.

volge il parlare a quegli oggetti animati, o inanimati, che si rappresentano all' occhio o al pensiero. Vediamo per lo più i poeti amorosi rivolgersi ai fiumi, ai sassi, ai monti, agli alberi, alle fiere, e raccontar loro le angosce che dicono di provare. Serve l'apostrofe a far delle bellissime, ed inaspettate uscite in lunghi racconti, le quali uscite, oltre che danno sonimo diletto, possono servire ancora a risvegliar l'idea di qualche oggetto principale del poema. Così fece Pier Iacopo Martelli nel gentil suo poemetto degli Occhi di Gesù, alla sua Amarilli diretto, ove, inducendo il padre suo a farsi narrar quali sieno le doglie ed i pensieri di un uomo, allor quando, ridotto agli ultimi momenti del viver suo, l'anima sta per uscire dal corpo, nel mentre che coi più vivi colori gli dipinge questa orribil immagine, egli esce con quella bella apostrofe alla sua Amarilli:

Mentre così dicea, te finsi allora

Sul natio letticciuolo egra Amarille
Con quel pallor che l'agonie scolora,
Senza sguardo socchiuder le pupille;
Con lunga faccia, e col sudor, che fuora
Da le spremnute vien gelide stille,
Torva qual chi col suo destin s'adire

Tra sitibondi aneliti morire.

Osserva il Quadrio che in quelle ariette dei drammi, che s'appellano Uscite, ove esce il rappresentatore da sè parlando, l'apostrofe assai bene campeggia; e la ragione credo che più si fondi Affo, Dizion.

8

sulle leggi del verisimile, che in altro, perchè non è verisimile che un uomo esca parlando fra sè stesso, se non si supponga agitato di modo che egli rivolga le sue parole ancora alle cose materiali, quasi persuadendosi di essere da queste inteso, e di poter riportar da esse quelle risposte, que' consigl, quella compassion che vorrebbe.

ARCAISMI. Così chiamate vengono le parole autiche e disusate. Qualche volta il poeta potrà no' seri componimenti adoperarne, ma dovrà farlo con molto riserbo, e più raro che gli sia possibile. Nello stile burlesco si usano tavolta per piacevolezza o per destare nei leggitori le risa, o per investir i costume di qualche sguaiatuzzo. Così il Tassoni indusse il conte di Culagna innamorato a cantar alla sua donna una mattinata

con molti vocaboli vieti, e rancidissimi nella Stanza 7 del canto 10:

O, diceva, bellór de l'universo

Ben meritata ho vostra beninanza,

Che' prode Battaglier cadde riverso,
E perdè l'amorosa, e la burbanza :
Già l'arïento del palvese terso

Non mi brocciò a pugnar per desïanza, Ma di vostra parvenza il bel chiarore Sol per vittorïare il vostro quore. ARGOMENTO. Ordinariamente per argomento viene inteso il soggetto di cui trattasi nel poema. Per accennarlo ai leggitori usarono gli antichi di proporne il succo in pochi versi, specialmente innanzi ai drammi, onde questi estratti in verso

« السابقةمتابعة »