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botti, od ottave in tal foggia, che bisquizi si nomi-. navano, o sia bisticci. Di questi componimenti, intitolati bisquizi, ne ho veduto parecchi in un MSS. d'autori di quel secolo, conservato dal signor dottor Buonafede Vitali Bussetano, mio singolarissimo padrone, uno de'quali, che leggesi alla carta 98, riporterò qui per saggio:

Mora l'amore per cui mare mura

Fa vota al vate, e questa vita veta
Pero la pira puro l'alma pura

Che a lato a lito non sta lata e leta Mor io ne ancor el caro core cura Perche non muto mi ti muti meta L'experto gia lo spirto sparte e sporta E in parte fuor di porta pur ti porta. Oh erano pur queste le goffe cose! I nostri secentisti ancor essi non di rado stimarono pregio dell'opera lo sparger le loro poesie di questi falsi ornamenti.

BUCOLICA (Poesia). Quella che tratta di cose pastorali e rusticane. Ved. EGLOGA. PASTORALE

POESIA.

BUON GUSTO. È necessario al poeta. Consiste in quel lume intellettuale che ci scorge a discernere il migliore, e mediante il quale gustiamo le perfezioni de'parti dell'ingegno altrui, e ne ravvisiamo i difetti. Per averlo non basta quella sola abilità che dalla natura portiam nosco, e la tendenza che abbiamo innata al buono, ed al bello, perchè le nostre passioni ci potrebbero far travedere, come sovente accade, e giudicar per

tutte queste cose mestieri avvezzar

bello ciò che è difettoso e imperfetto. Fa d'uopo uno studio che prima da noi rimova tutti i pregiudizi, e indi c'istruisca de' primi principj, delle ragioni fondamentali, e degli artifizi più industriosi: conviene di poi vedere in pratica, nè ciò basta: fa di la mente a far confronto di ciò che vede, giusta le buone leggi eseguito, con quello che trascuratamente ed a capriccio fu fatto. A questa maniera si acquista il buon gusto, e si forma quel sano criterio, per cui sappiamo le buone cose dalle cattive distinguere; quelle imitare, e queste fuggire. Ogni secolo della volgar poesia ha sempre avuto il suo gusto, ma non sempre buono, come si è veduto nel secolo scorso; e questo appunto avvenne per essersi scostati gli uomini dal metodo sopra indicato di acquistarlo. La troppa parzialità per un autore bisbetico, la brama d'imitarlo, di emularlo, di superarlo, fu quella che sviò la maggior parte dal buon sentiero. Non mancarono però mai poeti di buon gusto anche ne'tempi più corrotti, perchè il buon gusto essendo un solo, non può non ottenersi da chi veramente studiasi d'acquistarlo.

BURCHIELLESCA (Poesia). Fiori circa il 1430, in Firenze, messer Domenico di Giovanni, barbiere di professione, detto il Burchiello, uomo di un umore lepidissimo e curioso. Costui si diede ad una foggia di poetare, quanto purgata di stile, altrettanto confusa di sentimenti. La maggior parte de' suoi sonetti sono un ammasso di concetti fra

di loro disparatissimi, ma tutti ridicoli; in somma, sono quasi sul far della Frottola. Piacque ad alcuni bizzarri la maniera di lui, ed essendo imitata, fu dato nome alla poesia burchiellesca. Alcuni hanno voluto interpretar quelle stramberie del Burchiello, pretendendo che sotto vi stessero ascosi molti misteri; ma si sono resi ridicoli più di lui, che cantava come gli frullava, e non aveva mira a tante belle cose. Tuttavolta però ch'egli volle, verseggiò con buon senso burlescamente; nè si devon confondere questi due modi suoi di comporre. Nella commedia dei poeti del chiarissimo Goldoni, il Brighella, che verseggia sul primo gusto del Burchiello, accozzando sentimenti disparati, chiama le sue ciarle, Rime Balzane.

BURLESCA (Poesia). Si può distinguere in due classi, perchè alle volte di cose indifferentemente giocose parla, o pure le cose serie riduce a burla, ed alle volte mette in ridicolo, e morde le persone viziose. In quanto alla prima, vedi l'articolo BERNIESCA POESIA, e, in quanto alla seconda, ved. PASQUINATA. SATIRA.

BRINDISI. Componimento di genere ditirambico, fatto a tavola, o fuori, mentre si beve all'altrui salute. Ama uno stil mezzano, e non obbliga a metro particolare. Antonio Malatesti ne ha scritto in sonetti: Francesco Moneti da Cortona in ottave, e quadernari; Minto Filopono, o sia Giambatista Monti bolognese, in cobolette. Quanto più sarà breve, riuscirà men noioso. Ma l'uso moderno non obbliga più i commensali a simili tirannie.

C

CACCIA. Componimento usato dai nostri poeti

antichi molto leggiadro, con cui descrivevano brevemente un'azione venatoria, e indi gli davano il titolo di Caccia. Ammetteva questo poemetto lo scherzo, e specialmente l'imitazione del suono dei corni, dell' abbaiar de' cani, ed altre cose espresse coll' armonia de' medesimi versi. Ne recheremo una di Niccolò del Proposto, poeta antico, ignoto al Crescimbeni ed al Quadrio, il quale ha diverse rime in un codice scritto circa il 1390, conservato dal reverendissimo sig. abate Fabio Vitali, proposto dell' insigne collegiata di Busseto.

Chaccia di Ser Nicholo del Proposto.
Tosto che lalba del bel giorno appare
Isveglia i Chacciator: su cheglie tempo.
Alletta i Chan te te te te viola

Su salta il monte chon buon chani a mano
E gli bracchetti al piano

E nella piaggia ordini ciaschiduno.

E mi par di sentir uno

De nostri miglior chan far avisato.
Bussate dogni lato

Ciascun le macchie che qualtela suona.

A jof a jof atte la Cerva viene

Del monte que che va su giu gridava

A l'altra a l'altra il suo chorno sonava.

Alcuni trasportarono questi componimenti a soggetti amorosi. È tale una barzelletta di Benedetto

da Cingoli, intitolata appunto la Caccia, che CO

mincia:

Scampa scampa, che Dïana

Con le Ninfe a caccia vanno,
E di noi gran preda fanno

Fra bei colli di Toscana.

Se ne può vedere una molto ingegnosa di Marco Antonio d'Azzia, e una di Curzio Gonzaga, ambedue sull' istesso metro, nella raccolta fatta da Muzio Manfredi, per Donne Romane, e stampata in Bologna nel 1575. Ma perchè tal raccolta non è in mano di tutti, trascriveremo quella del Gonzaga, acciò si possa imitare:

Cacciam quest'ORSA, Amanti,

Che la più ricca preda

Non scorge Amor quanto riscaldi e fieda. Saran corni e segugi

Note leggiadre e carmi,

E virtute, ed onor le reti e l'armi.

Corra il più ardito al varco

De' lauri ne la selva,

E di palme, ove altera ella s'inselva;

E tutti gli altri intorno

Chiudan i passi, e poi

La stringan sì, che cada in mano a noi.

E dianle caccia omai:

Io me ne struggo, e moro,

O che gloria, o che pregio, o che tesoro!

Eccone a fronte, Amanti,

Quella si ricca preda,

Che ancide Amor quanto riscalde e fieda.

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