صور الصفحة
PDF
النشر الإلكتروني

contrario. In vano poi studiasi il medesimo Crescimbeni (1) di tirar dalla sua il Castelvetro, difensore acerrimo dell' opposito, mentre non disse altrimenti, che la lingua, da cui ebbe principio la volgar Poesia, fosse quella di Guido Giudice Messinese, onde si possa inferire che in allora soltanto questa nascesse, ma disse unicamente, che le Poesie Siciliane, credute dal Bembo per antichissime, altro non erano che versi scritti nel moderno dialetto del contado di Sicilia: laonde non viene a dir ciò che il Crescimbeni vorrebbe, vale a dire, che prima di messer Guido non si poetasse in Italia.

Aggiungo a tutto questo l'osservazione che ho fatto sulle rime più antiche a noi pervenute, saggio delle quali, cominciando dal 1184, e susseguentemente per ordine cronologico, ci vien dato dal Crescimbeni stesso nel terzo volume de' suoi Comentari. Se bene esaminar le vogliamo, scendendo fino alla metà del secolo XIII, non iscorgeremo in esse ombra di quel provenzalismo, che molto dopo piacque agl' Italiani. Io veggo mente ne' versi d'Ubaldino, di Ciullo d'Alcamo, di Folcacchiero, di Lodovico della Vernaccia, di Mico da Siena, di Pier delle Vigne, e di Guido Guinicelli della barbarie a cagion dell'idioma, non ancora a perfezione stabilito, ma non iscopro in essi quell' oscurità e stranezza di termini usata da' posteriori, nè que’rimalmezzi, e quell' altre

(1) Ivi, cap. 4, pag. 11.

certa

scipitezze, che tardi a piacer cominciarono a'nostri, poichè ebbero notizia de'Provenzali. Dunque i primi nostri poeti indipendentemente da quelli avevano già adoperato in versi della lingua volgare, senza aver avuto mestieri giammai di prender norma da essi.

S. IV.

Cagioni, onde si mossero gli antichi a poetar volgarmente, e qual gente d'Italia meglio prima il facesse.

PER farci omai più d'appresso al proposito no

stro, dico che essendo lo spirito poetico anche alle genti del volgo comune, vi poteva, e vi doveva essere anticamente chi, la sola volgar lingua intendendo, in quella cantasse, e verseggiasse, come abbiam veduto notato dal Petrarca: ed ancorchè gli uomini dotti, e del latino pratici, dovessero poco curarsi di adoperar in versi nell'idioma del volgo, dovettero però farlo alcuna volta in quelle cose che pel volgo medesimo eran fatte: così abbiam veduto essersi costumato già nelle Atellane in lingua Osca, recitate a trastullo del roman volgo, a tesser le quali doveva pure alcun erudito concorrere. Crebbe indi la necessità di usar del volgare, allor che il volgare venne diventando signore, e fece, tra l'ignoranza e la barbarie confuso, quasi perire il latino. I Poeti, che amarono sempre d'esser intesi e lodati, ben sa

pendo che molte volte dall' opinion del volgo dipende la fama degli scrittori, dovettero ce lere a questa necessità volentieri, e vestendo i loro pensieri con quella lingua, che si faceva comune, vennero coll'arte loro, e collo studio ad ingentilire ciò che per l'addietro loro per avventura non piacque, ed accreditarono que' ritini che di raro forse con buone leggi si canticchiavano dalla plebe.

Acutamente un' altra conghiettura su ciò fece Dante nella Vita Nuova, riportata da Mario Equicola (1), e rinnovata dal Muratori in queste sue parole: L'essere costoro, cioè i Poeti, per l'ordinario innamorati, e l'aver eglino desiderio di far conoscere l'ingegno proprio, e la grandezza dell' affetto alle persone amate, fu, come suot essere anche oggidì, la cagione per cui essi componessero versi amorosi. Ma ben vedendo che il linguaggio latino poco avrebbe gi›ato al lor fine, perchè oramai più non inteso dal sesso debole, si rivolsero al volgare, e con esso diedersi a poetare (2).

Questa maniera di poesia, come proveniente da un natural moto ed istinto comune agli uomini tutti, non deve certamente restringersi ad una particolare città o provincia d'Italia, ma nella sua antichissima erigine, e diramazione fa d'uopo

(1) Natura d'Amore, lib. 1, pag. 10, ediz. del Giolito, 1554.

(2) Perfetta Poes, tom. 1, cap, Jo

supporla ovunque animi gentili vivessero. Ma siccome allorchè manca fomento all' accrescimento dell'arti e delle scienze, poco esse avvantaggiano, così nel tempo che più il volgare a rassodarsi cominciò, prevalendo alle lettere le rivoluzioni, e gli sconcerti, avvenne che la volgar poesia non osò spiegar l'ali arditamente, e restò quasi sotto tepide ceneri appena viva. Rimaneva che in alcuna parte cominciassero a sedarsi i tumulti, che l'atterrivano, mentr' ella tosto al primo rinascere di qualche buon gusto sarebbe baldanzosamente sbucata, e colà facendo la prima più sfarzosa mostra, avrebbe talmente allettato di sè stessa anche i più schivi, che sperar poteva d'essere per tutto accolta ben volentieri.

Dopo essersi ella buon tempo pasciuta di questa speranza, vide pur una volta aprirsi la via ai suoi desiderj in Sicilia, ove non molti secoli prima del Petrarca potè rinascere, e raccogliendo tutte le sue forze, si rassodò, ingrandì, e dilato in brieve per tutta l'Italia, per non perire mai più. Fu dunque in Sicilia dove, prima che in altra regione, si cominciasse a verseggiar volgarmente in più lodevol maniera, come chiaro si ha dal citato Petrarca. E perchè alcuno non tentasse mettere in dubbio questa verità, dando un significato d'incertezza a quella parentesi, ut fama est, dietro la scorta del Crescimbeni, si conferma da altro passo di sì antico accreditatissimo scrittore, che ne' suoi Trionfi assolutamente diede ai Siciliani il primato.

Ecco i duo Guidi, che già furo in prezzo;
Onesto Bolognese; e i Siciliani,

Che fur già primi, e quivi eran de seuzo (1). Ne punto di maraviglia arrecar deve che i Siciliani in questo si distinguessero tanto per tempo, mentre sappiamo per testimonio di Dante, che essi furono i primi altresì a render più colta e nobile la volgar lingua, usandola per gentilezza nella Corte: per la qual cosa aulica nominossi, • quasi di là solo venuto fosse il buon parlare, tutto ciò che poi cantarono le genti dell' altre parti d'Italia, siciliano appellavasi: Videtur sici lianum vulgare sibi famam prae aliis asciscere, eo quod quicquid poetantur Itali, sicilianum vocatur (2). So bene che presso d'alcuni l'opera di Dante della Volgar Eloquenza, onde ricaviano questa testimonianza, viene tenuta per apocrifa, perchè dir si potrebbe che niun peso dalla citata autorità si accresca all'opinion già esposta. Ma è già noto abbastanza che la passione di far tener quest'opera per supposta non è nata altronde, che dall' aver egli più la siciliana, che la fiorentina favella celebrato, quasi che nulla esser dovesse l'autorità del Boccaccio nella Vita di Dante, е quella di Giovan Villani, autori poco men che contemporanei, qualora ci attestano

che que

st'opera latinamente egli scrisse. Tardo apparve, egli è vero, questo libro alla luce, cioè solo nel

(1) Trionfo d'Amore, cap. 4, vol. CXXVII, pag. 268 di questa Biblioteca Scelta.

(2) De Vul. Eloq., lib. 1, cap. 12,

« السابقةمتابعة »