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ISTRIONI. Compagnia di gente che fin presso gli antichi Romani girava per la città, dando trastullo al popolo con recitar commedie e tragedie. Dura tal costume anco a'dì nostri. Vengono detti Istrioni dalla voce etrusca Hister, come afferma Tito Livio (1). Ved. ATTORI.

L

LAUDE. Specie di canzone sacra encomiastica, la quale non differisce dall'Inno. L'origine delle Laudi devesi alle confraternite fin dal secolo XIV, le quali nelle pubbliche loro funzioni di queste sacre poesie cantavano, e però gli associati ad esse venivano appellati Laudesi. Tra queste confraternite è celebre quella de' Bianchi di Siena, per cui crede il Crescimbeni, componesse le sue Laudi il Bianco Ingesuato. Queste laudi si tessevano in istile umile e popolare, acciò fossero dalla volgar gente intese; e tal modo si tiene presentemente, acciò sieno intese da'fanciulli, a'quali si fanno cantare specialmente nel pio esercizio della Dottrina Cristiana. Il loro metro anticamente fu quello delle Ballate replicate, e delle Barzellette. Ma se ne fecero ancora su quello del Serventese, e dell'ottava rima. In oggi si conserva quello della Zingaresca, ed altri brevi.

LAZZI. Scherzi giocosi de'Mimi, detti ancora volgarmente scene mute. Potrà alcuna volta il

(1) Hist., lib. 7.

poeta ordinarli nelle commedie; ma ciò debbe farsi con molto giudizio.

LEGGENDA. Poemetto istorio-sacro usato dai nostri quattrocentisti, in cui si narrava la vita di qualche santo o alcun miracolo. Non essendo allora in buon uso la critica, non è maraviglia che queste leggende sieno piene di falsità. Ora tali cose sono divenute la mercanzia de'vagabondi, che alcune pur se n'odon cantare.

LEPOREAMBICA POESIA. Lodovico Leporeo, poeta del secolo passato, bisticciante di prima sfera, fu colui che diè nome alla poesia Leporeambica. Questa consiste in versi che abbiano in corpo sempre due parole rimate fra loro: le rime finali poi del componimento che d'ordinario è sonetto, devono esser tutte della quasi medesima cadenza, lo che si fa cangiando soltanto quella prima vocale, onde comincia la desinenza, come sarebbe a dire altera, amara, canora. Il Leporeo amò d'usar sovente le rime sdrucciole, e talvolta le bisdrucciole, per mostrar più facilità di faticare: non fece risparmio di parole antiche e rancide, e se ne gloriò dicendo:

Vo a caccia, e in traccia di parole, e pescole,
Dal rio del cupo obblio le purgo, e inciscole,
Da ferruggine, e ruggine rinfrescole,

E dalla muffa, e ruffa antica spriscole.

Il Crescimbeni vuole che tal giuocolino sia più antico del Leporeo (1), onde allega un sonetto

(1) Storia della Volgar Poesia, lib. 1, pag. 8.

di Pucciandone Martello da'MSS. del Redi, e la canzon di Guido Cavalcanti per quel verso:

D'un accidente che sovente è fero.

Ma se vogliamo trovar fra gli antichi qual fosse colui, da cui per avventura il Leporeo prese norma, egli si è Dante da Maiano, che fioriva nel 1290. Ecco il principio d'un suo sonetto:

Lasso per ben servir sono adastiato
Non eve ingrato, a cui aggio servuto,
E per amar mi trovo disamato,

E discacciato, e non ne trovo ajuto. Questa maniera di poetare è faticosa, inutile, e sciocca. Non so con qual ragione Bernardino Baldi, avendo scritto un Sonetto ribattuto, che sta nel suo Lauro, pag. 92, ponendo due rime nel corpo d'ogni verso, potesse dire essere questa tessitura d'invenzion sua.

LETTERA. Ved. EPISTOLA.

LICENZA POETICA. Cesare Caporali Perugino, umor lepidissimo, dice che andando in Parnaso, vide la Licenza poetica:

Ch'avea la vesta piena di costure
D'una latinità confusa e guasta,
Ma rappezzata su con le figure:
E là dove pur sana era rimasta ́,
Il mutato preterito in presente
L'avea ravviluppata come pasta.
In vece poi di perle d'Oriente

Ella avea al collo un vezzo d'Entimemmi,
E un sillogismo falso per pendente (1).

(1) Viaggio di Parn. p., 2.

E alluder volle alla libertà smoderata d'alcuni di abusare della licenza poetica, tutto credendosi lecito. Questa non è altro che una facoltà che prendesi il poeta, di svariar in qualche parte da ciò che lo scrittor di prosa religiosamente osserva, e questo in grazia del verso. Consistono, primo di allungar una voce di qualche sillaba, come quando si dice umilemente, giùe, giuso, andòe, in vece di umilmente, giù, andò: secondo in accorciarle, come disnore, amaro, in vece di disonore, amarono: terzo, in trasportar gli accenti d'una sillaba in un'altra, come quando dicesi pièta, in vece di pictà: quarto, in cangiar, o trasportar le lettere nella medesima parola, come despitto, drento, capresto, in vece di dispetto, dentro, capestro: quinto, nel privar una voce monosillaba d'accento, acciò nel fine del verso faccia desinenza piana congiunta all'antecedente, come in que❜versi:

Io volsi gli occhi, e'l buon Virgilio almen tre. Dante. O ragazzo battuto da signor so. Boccaccio. Altre se ne fanno che poco giova commemorare; ma avvertir conviene primieramente che l'abuso di esse sarà mai sempre biasimevole. Imitar dobbiamo Virgilio, di cui dice Macrobio: solet temeritatem licentiae non amare, sed rationis certae vim in rerum, vel nominum electione servare (1). In oltre quelle licenze che non disdicono in lungo poema, male stauno in un breve componimento.

(1) Saturnal., lib. 6.

Di più, non deve chiunque arrogarsi la facoltà di usar la licenza come vuole; ma soltanto come usata vien da'maestri, i quali l'hanno in certo modo autorizzata. E perchè i maestri stessi sono soggetti ad errore, fa d'uopo considerare se le loro licenze sieno vere licenze, o pur falli; che se falli mai fossero, non si dovran colorire sotto idea di licenze per imitarli.

LIRICA POESIA. Sotto questo nome vengono intesi tutti i componimenti di genere sublime che non partecipano dell'epico, o del drammatico. Tali sono le Canzoni, gl'Inni, le Odi, i Sonetti, i Madrigali, de' quali a parte ragionasi a suo luogo. Trae questa poesia l'aggiunto di Lirica dall'uso antico di essere cantata al suono di Lira. Se v'ha poesia che richieda vivezza d'immagini, elevatezza di pensare, sublimità di stile, purezza di locuzione, ella è certo questa. Non si potrà meglio apprendere che dalla continua lettura dei buoni autori.

LOCUZIONE. Ved. STILE. LODE. Ved. LAUDE.

M

MACCHERONICA POESIA. Teofilo Folengo,

mantovano, morto nel 1544, fu l'inventor di questa poesia, la quale si serve de' metri e delle parole latine, ma per la maggior parte formate da voci rustiche e lombarde, latinizzate grossolanamente. E le poesie di lui sono quelle che vanno

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