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1577, per le stampe di Parigi; ma Iacopo Corbinelli, gentiluomo fiorentino, che pubblicollo, non era capace di vender favole; e per genuino parto di Dante fu riconosciuto allo stile eguale in tutto a quello del Libro De Monarchia da diversi acuti ingegni, potendo vedersi a questo proposito il Muratori (1), il Fontanini (2), il Quadrio (3), ed altri.

Furono adunque i Siciliani che l'antica consuetudine di poetar ritmicamente in volgare trascurata restituirono, e ciò per le ragioni addotte doveva esser fatto fin intorno al 1100, e prima ancora; imperciocchè poterono essere spinti dall'esempio de' Saraceni, i quali per più di due secoli tennero occupata quell' isola, e ne furono poi cominciati a scacciar da'Normanni nel 1060, e totalmente espulsi nel 1091. Questi fino ai tempi di Maometto avevano ritmi, e dimostralo l'Alcorano stesso in rime scritto, quantunque goffamente, come afferma il dottissimo P. Maracci (4), ed ebbero poi nell'andar de'tempi una considerabile moltitudine e varietà di simili cantilene, come afferma il Muratori (5). Ora il commercio de'Siciliani coi Saraceni fu senza dubbio il primo incentivo che suscitò in essi il genio di ravvivare la negletta

(1) Perfetta Poes., tom. 1, cap. 3, pag. 23. (2) Aminta difeso, cap. 11, pag. 236. (3) Vol. 2, p. 1, dist. 1, c. 8, partic. 2. (1) Alcoran., tom. 1, De Alcor., cap. 2, pag. 3420 (5) Antich. Ital., dissert. 40, pag. 451.

ritmica poesia, ponendosi a più francamente eseguire nel loro idioma ciò che que' barbari facevano nell' arabico, quasi per nobile emulazione. Aumentandosi quindi il genio delle scienze, dovet. tero sempre più perfezionare quest' arte, finchè giunsero in brieve a rendersi per essa celebri e famosi.

ma

Da tutto questo voglio che si concluda non doversi credere i primi poeti siciliani nè Ciullo d'Alcamo, nè Oddo dalle Colonne, nè Pier delle Vigne, nè Iacopo da Lentino, nè altri tali, bensì que' più antichi di costoro, i nomi de'quali coll' opere insieme sono con dispiacer nostro periti. Pare che in tal modo supponga lo stesso Petrarca, dicendo: i Siciliani che fu già primi, senza nominarne alcuno, come d'altri fece, la cui fama precisa era sovrastata all' ali oscuratrici del tempo.

Si dilatò rapidamente, come abbiam detto, il rinnovato genio de' ritmici in Italia, così che, intorno al 1200, troviamo poeti volgari in Toscana, ed altrove. Da sì veloce progresso crediamo rimaner confermato, che già da per tutto si fosse prima verseggiato, e che quanto dalla Sicilia a noi venne, altro non fosse che il miglior gusto, poichè se non vi fosse stata dapprima esca sufficiente, non si sarebbe sì tostamente appreso un. tal fuoco.

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Affò, Dizion

3

S. V.

Esame d'un'antica iscrizione ferrarese, che si stabilisce pel più antico

'poesia volgare.

monumento della

sta

VEDUTO come in Italia si fosse già da gran tempo dato principio a volgarmente poetare, senza bisogno d'accattarne altronde la norma bilita, rimane un'epoca conghietturale da fissarsi all'intorno del secolo Xi, dacchè la nostra poesia cominciò senza dubbio a rendersi comune, e ad usarsi, per le addotte ragioni, più presto che la latina. Ora fa d'uopo cercare ancora un' epoca certa d'antichità, la quale abbia per oggetto il tempo preciso, in cui a conservar cominciaronsi componimenti in lingua nostra dettati, per indi confermare quanto forse non si vorrebbe concedere da coloro che altra opinion dalla nostra nudriscono. Certamente il dire col Muratori (1) che di versi italiani prima del 1200, niun forse si trova, è cosa che non sussiste, imperciocchè troviamo, come più a basso dirassi, de' verseggiatori in Sicilia intorno al 1187. Anzi abbiamo una incontrastabile prova che vivevano verseggiatori in Ferrara fin l'anno 1135, il qual anno appunto ci somministra un'iscrizione, che pel primo venerabile monumento della volgar poesia al presente riconoscere, e provar voglio.

(1) Antichità d'Italia, dissert. 40.

So quanti scrittori abbiano prodotta questa iscrizione, laonde parer potrebbe soverchio che io prenda a volerne dir di proposito. Ma siccome niuno forse con maggior impegno di me si è dato ad esaminarla, nè altri si è dato la briga di ponderar, e di esporre quanto in favore, ed in contrario della antichità di essa dir si poteva, così io crederò di poterne, dopo tutti, in maniera trattare, che nulla per l'innanzi a scrivere ne rimanga. Sanno gli amici miei quanto io sia stato per l'addietro ostinato nel crederla un' impostura, e quanto di forza mi persuadessi trovarsi negli argomenti, onde con lettere e con parole, non poche volte contro mi vi scagliai: quindi se in fine ho per me stesso conosciuta l'insussistenza dell' opinione, ona' io mi appagai per vari anni, e se dopo lungo esame mi è convenuto confessare il vero, e ritrattarmi, crederò che non sia quest' iscrizione per incontrar più alcun altro oppositore, e che ciascuno meco si accorderà a riconoscerla, come l'hanno senza contrasto tanti valent'uomini riconosciuta per antichissima, e come fattura veramente dell'anno 1135.

Girolamo Baruffaldi il primo si fu, per quanto io mi sappia, che la producesse, allor quando nel 1713 pubblicò le Rime scelte de' poeti ferraresi antichi e moderni. Noi leggiamo, dic' egli nella Prefazione, iscrizioni pubbliche in versi volgari fino del 1135, qual si è quella sopra l'arco dell'altar maggiore di questa cattedrale, lavorato a musaico, nella quale viene espresso, benchè roz

zamente, il nome del fondatore e dell' artefice di quel maestoso tempio, della qual iscrizione si porterà qui la copia per eterna memoria, giacchè si teme, che col rifabbricarsi presentemente, e risarcirsi la detta chiesa sieno que' musaici per irreparabilmente perire.

Il mille cento trenta cinque nato

Fo questo Tempio a Zorzi consecrato
Fo Nicolao Scolptore

E Glielmo fo lo auctore.

Allo stesso modo fu riprodotta nelGiornale de'Letterati d'Italia (1), ove si fece osservare l'anteriorità che ha questa iscrizione sopra quella di Ubaldino, di cui nel seguente paragrafo si ragionerà. Non seppe Giacinto Gimma che questa

fosse perita, laonde ne ragiona come di cosa esistente (2), e giudicolla bastevole a smentire le pretese de' Provenzali. Tacio d'altri, che l'hanno nell'opere loro inserita, per riferirla in quel modo, col quale Ferrante Borsetti ce la diede l'anno 1735, nella sua Historia Almi Ferrariae Gymnasii. Eccola però riferita com'egli stesso veduta l'avca nel musaico, e come fu da lui fatta intagliare (3).

:

(t) Tom. XVII, Artic. 12, pag. 351.

(a) Idea della storia dell'ital. letter., tom. 1, cap. 22, num. 14, pag. 181.

(3) Parte 1, lib. 4, pag. 357.

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