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Stramoto

tempo, donna, più non se ne va,
Chè già con tua bellezza gito n'è;

Or non ti val più, ingrata, aver pietà,
Che al specchio tu credesti, e non a me.
Chi tu fuggisti già te fuggirà,

E chi struggesti tu struggerà te:
Così, donna crudel, alfin si fa

A chi d'altrui servir sprezza la fè.

Ma lo strambotto comunemente era un'ottava rima, cantata quasi alla stramba e all'improvviso. Così vediamo tra le Rime del Poliziano dell'ultima edizion Cominiana, fatta nel 1765, una Serenata, ovvero lettera in istrambotti, e tant'altri componimenti fra quelli di Baldassar Olimpo, e di moltissimi del secolo XV, col titolo di Strambotti, essere tutti in ottava rima.

STROFE, detta ancora Strofa. Vedi i titoli della Canzone alla Greca, e della Canzone Toscana..

suono

STRUMENTI MUSICALI. Perchè ogni poesia è canto, ed ogni canto s'accompagna con corrispondente, conviene le principali diverse sorti di strumenti musicali additare, acciò, occorrendo nominarli, si sappia quale convenga rammentare secondo la diversità del componimento. Ogni musicale strumento dagli antichi fu detto Organo, perciò Cassiodoro ne distinse tre classi: Organorum aliud percutitur, aliud intenditur, aliud inflatur. Percutiuntur acetabula argentea: tenduntur fides, quae, plectro percussaej, Affo, Dizion.

aenea,

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veli

mulcent aurium sensum: inflantur tubae, calami, etc. (1). Adunque gli strumenti della musica, altri sono da percossa, altri da arco, o, a dir più in genere, da corde, altri da fiato. E, per cominciar da questi ultimi, ci si appresenta in primo luogo la tromba attribuita agli epici, perchè cantano le gesta de'poderosi guerrieri e de' magnanimi duci, che si sono segnalati nel mestiero dell'armi, giacchè la tromba è di tal suono che eccita gli animi alle grandi imprese. Possono ridursi alla tromba quegli strumenti che gli antichi appellavano lituo, buccina, e corno. De' pastori è proprio il suono della zampogna, detta ancora siringa, che è zuffolo d'una sola canna a vari pertugi, ed ancora della fistola, composta di più canne dispari tra loro congiunte. I poeti, che di cose marittime trattano, inducono alle volte i Tritoni suonanti le conche, o sieno buccine marine, che sono conchiglie fatte a lumaca, e buche nel fondo per ove s'intromette il tiato. Per passare agli strumenti da corda, in primo luogo annoverarsi la lira, che da alcuni distinguesi dalla cetra, e da altri una medesima cosa si vuole; lo che discutere a noi poco importa, bastandoci di sapere che la lira e la cetra si piglia per accompagnamento delle poesie liriche. Troviamo alle volte datole da'poeti il nome di testudine, pigliando la parte pel tutto, poichè gli antichi formavano il cavo della cetra con un guscio di tartaruga marina. Evvi ancora il salterio,

(1) De Musica, lib. 2.

deve

spesso nominato da Davidde, e appropriato alla poesia salmodica, ed il colascione, che a sè stessi vogliono riserbato i burleschi. Notar conviene che troveremo spesso presso i Lirici mentovato il plettro, e questo non altro significa che l'arco, o bacchetta, con cui dagli strumenti da corda si eccita il suono. Tra gli strumenti da percossa sono i timpani, specie di tamburi, e si possono prendere per accompaguaniento de' canti militari. Il cembalo degli antichi era pur una specie di timpano, e si usa pure a'tempi nostri: consiste in una pelle su d'un cerchio intrecciato di sonaglietti ben tesa. Cembalo fu pur detto quello che si usa dagli Armeni, consistente in due piatti di bronzo scavati, che, presi pe' loro manubri che stanno dalla parte convessa, si percuotono insieme. Eravi ancora il sistro, che consisteva in un cerchio ovale di bronzo, stringentesi verso il manico, per cui erano infilate alcune verghe di acciaio o d'altra suonante materia, che, agitate o battute, davan tinnito; eravi il crotalo, triangolo di metallo, passato di varie verghe, nelle quali erano vari anelletti infilati; v'eran le nacchere, usate anche oggidì, e sono quegli ossicelli, conchiglie, e simili faccende che legansi fralle dita della mano, e si scuotono. Tali strumenti propri sono de'ditirambici, come usati già ne'baccanali, nelle saltazioni, e in simili strani riti.

TEMPO.

T

restringe

:

EMPO. Sono legate fra loro di vincolo stret tissimo poesia e musica, come regolate dal numero e dall'armonia. Ora quello che nella musica necessario si crede, cioè il tempo, non deve già credersi superfluo nella poesia. Gli antichi in ogni sorta di ritmo distinsero l'Arsi, e la Tesi, cioè l'alzamento, ed abbassamento, che i musici appellano battuta, la qual si fa con un uguale calare ed alzar di mano, onde dinotar il tempo del canto o del suono. Ved. RITMO. Il tempo ne'versi veramente distinguesi coll' orecchio ; ma ciò non ostante è bene sapere che i versi pure hanno il tempo di giusta battuta. La battuta si a due specie, cioè alla dupla, ed alla tripla quella con un calare ed alzar di mano, questa col calar due volte, ed una volta sola alzarla distinguesi: ciascuna di esse si suddivide in altre, ma a noi basta mentovare le principali. In oltre il canto, che sotto il tempo si regola, alle volte è continuo, alle volte è interrotto da respiri e da pause. Ciò posto, dico che l'endecasillabo, il settenario, ed il quinario sono in tempo di du. pla, e di canto continuo: quindi se si canteranno, o reciteranno a battuta, vedrassi che, dando una sillaba ad ogni alzata e abbassamento di mano, si giunge al fine col calar della mano stessa, giusta l'insegnamento de'musici, i quali dicono non dover mai la battuta terminar nell'alzata. Di più si osserverà che gli accenti che armonizzano tal

versi, cadono sempre nell'alzata della mano, cioè nell' Arsi, la qual cosa esser legge universale si scorge dagli altri versi, che in tempo di tripla si battono, come or ora vedrassi. Ecco però distinti in battute i detti versi:

Dolce-color-d'ori-ental-zaffir-ro.
Donna-negli òc-chi vòs-tri.
Colma-di zè-lo.

E qui si osservi che il verso può aver tanti accenti acuti, quante sono le battute, e se questi accenti cadessero tutti sull'Arsi, allora il verso sembra più armonico, come ne'seguenti:

Solcar-de l'àm—pio màr-l'ondò—so rè―gno
Poichè la mòr-te acèr-ba.

Andò-ferò-ce.

E questi furono per avventura i riflessi di Teodato Osio, delle musiche leggi peritissimo, quando mostrò desiderio (1) che l'endecasillabo si dividesse in cinque piedi, ognuno di due sillabe, e che ogni piede avesse sulla seconda l'accento, così che fosse da cinque accenti l'armonia di lui sostenuta. Ma allora stucchevole piuttosto riescirebbe che grato il suono del verso, come sempre d'un passo medesimo andante. Passiamo ai versi che sono in tempo di tripla. Questi sono di due classi, perchè altri hanno il canto continuo, altri lo hanno interrotto. Nella prima classe va il quadrisillabo, e gli altri che in lui riconoscono la loro radice, cioè l'ottonario e il decasillabo.

(1) Armonia del nudo parlare, part. 3, p. 121.

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