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derio e l'amore di essa. Il qual nobilissimo fine non si ha primariamente dalla tragedia comune, che, a parlar chiaro, mostrandoci la rovina del virtuoso, quasi dalla virtù ci ritira, non bastandoci di stimolo ad imitarlo l'aver conosciuta l'inHоcenza di lui.

TRAGICOMMEDIA.È una rappresentazione che partecipa della tragedia e della commedia, e da una parte mover deve la compassione, e orror risvegliare, dall'altra eccitar il riso, e il dilettevol sollazzo. Ciò si fa temperando l'orrore cogli scherzi e con le burle, siccome si vede nel notissimo Convitato di Pietra. Cel titolo di tragicommedia, sul fine del secolo XV, pubblicò Francesco Salustio Buonguglielmi l'Apollo e Leucotoe, in cinque atti, e Antonio Epicuro la Luminaria circa il 1530. La più famosa, e rinomata tragicommedia è il Pastor Fido di Batista Guarini.

TREDICISILLABO (Verso), inventato da Francesco Patricj; che un suo poemetto, intitolato l'Eridano, pubblicò in Ferrara nel 1557 in tali versi composto, con un Discorso intorno a'medesimi. A considerarlo attentamente altro non è che un ammasso d'un ottouario e d'un quinario uniti insieme, ed alle volte d'un novenario e d'un quadrisillabo. Eccone esempio:

O sacro Apollo, tu che prima in me spirasti Questo mio novo altero canto, e voi che intorno. Si noti che quando ha la sesta sillaba tronca, è in tutto simile al Martelliano. Tal verso non ha. ottenuto alcuno applauso.

TRENI. Componimenti lugubri, come que'di Geremia. Ved. ELEGIA.

TRIONFO. Poemetto così denominato dalla descrizione d'un trionfo. Il Petrarca fu inventore di questa sorta di poesia tutta allegorica, descrivendoci il Trionfo d'Amore, del Tempo, della Fama, ecc., usando, come ognuno sa, nello scriverli, la terza rima. Antonio Pagani, minor osservante veneziano, imitollo in argomenti sacri. Ottennero il nome di Trionfi ancora alcuni canti carnascialeschi fatti per cantarsi nell'accompagnare i carri trionfali. Ved. CARNASCIALESCHI.

TRISILLABO (Verso). Sembra anch'egli il verso di tre sillabe non meno che il bissillabo un aborto della poesia, non iscorgendovisi per entro numero sufficiente. Pure trovandosene esempi antichissimi, come in una canzonetta di Giacopo da Lentino, che fioriva circa il 1350, e veggendosi adoperato da alcuni moderni, conviene ammetterlo per buono, tanto più che Dante, avendolo conosciuto come radice del verso di nove sillabe, venue quasi ad autorizzarlo. Gli basta d'aver l'accento sulla seconda. È superfluo recarne esempio.

TRONCO (Verso). È quello che manca d'una sillaba ad esser piano, ed intero nel suo natural numero, perchè si posa, e termina sull'ultimo accento acuto che lo governa, come il seguente endecasillabo del Petrarca:

Quanto posso mi spetro e sol mi sto,

il quale viene ad essere di dieci sillabe solamente.

Affò, Dizion

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I moderni nelle canzonette ed ariette hanno introdotto ogni sorta di versi brevi troncati a questo modo, e non solamente ciò fanno con parole naturalmente accentate nel fine, ma ancora con voci artifiziosamente tronche, o dimezzate, come amor, lontan, piacer. Lo Stigliani ed il Quadrio condannano giustamente questo abuso, che vuolsi introdotto già fin ab antico da Serafino dell'Aquila, che in una barzelletta, riferita dal Crescimbani, cantò:

Non mi negar, Signora,

Di porgermi la man,

Ch' io vo da te lontan, ec.

Io tengo le rime di questo poeta, e veggo propriamente che questa strofe si legge così, ma non corrispondendo le altre, che tutte hanno i versi piani, giudico essere stato un arbitrio de'copisti, o dello stampatore, scrivendo man, lontan, quando mano, lontano scrivere si dovea. La lingua nostra ha le sue voci tutte terminanti in vocale, e noi vogliam pure tedescamente e francescamente sul

fin d'un'arietta far che cada il suono talvolta in un'acuta asprissima consonante. Non ci mancano voci terminanti in vocale accentata : sono tutte desinenze tronche quelle che cadono in a, e, i, o, u, ai, ei, ii, oi, ui, senza che contro l'instituto dell'idioma nostro spezziamo le voci al mezzo Io giudico che colui che primo di tutti artifiziosamente troncò i versi, lo facesse per accordar in rima parole, che mai non si sarebbero potute accoppiare se non così mozze ed imperfette, come fier, piacer, ed altre simili.

V

VENDEMMIA. Breve componimento di genere

ditirambico, il cui soggetto è la vendemmia dell'uva. Si è distinto in simili gentilezze il Chiabrera, facendone alcune in metro di Canzonetta, ma per lo più in quello della Ballata semplice, ed ancora del Madrigale.

VERISIMILE. Per ampia che sia la libertà data al poeta di fingere, non è mai tale che possa egli oltrepassar le mete del verisimile: prerogativa che mette in fronte alla favola il pregio di possibilità e credibilità. Il verisimile è di due sorte, cioè di fatto e di fantasia. Il primo conviene principalmente agli epici e drammatici, il secondo ai lirici. 1 verisimile di fatto consiste nella disposizione della favola con tal ordine che sembri naturalissima la cagione e l'esito suo, di modo che se quel che si finge fosse veramente accaduto, o dovesse accadere, non potesse avvenir altrimenti: quindi un ordine troppo studiato e troppo incatenato, quantunque bellissimo, sarà il più delle volte inverisimile, e sarà più verisimile allora che venga interrotto, e guasto, giacchè ordinariamente così suol succedere alla giornata. Se poi l'azione che si narra o rappresenta, abbia fondamento sul vero, è lecito aggiugnervi quegli accidenti tutti che verisimilmente dovettero, poterono accompagnarla, e se di tali verisimi glianze non si valessero i tragici specialmente, raro sarebbe che i loro drammi fossero perfetta

dire

mente eseguiti. Questo verisimile di fatto viene distinto dal chiarissimo Muratori (1) in nobile, e popolare. Nobile è quello che può essere o parer tale a qualunque assennata persona, come a che nella guerra fatta da Goffredo in Terra Santa eravi una guerriera, detta Erminia, la qual cosa siccome non ripugna, così facilmente restane la mente persuasa. Popolare quello poi dicesi che può essere o parer tale solo presso gli idioti; tali sono le magie e gl'incantesimi, gl'ippogrifi, gli anelli, che fanno andar invisibili, e simili cose, di cui abbondano i romanzi, e di cui il volgo resta capace di leggieri per la preoccupazione che ne ha, credendo darsi veramente simili prodigi per opera diabolica. Sebbene però questo verisimile popolare non risguardi ciò che può esser di fatto, nondimeno è un verisimile giusto, fondato sull'opinione che tiene la parte affermativa, alla quale volentieri il poeta s'appiglia, e ne approfitta, per poter fingere maravigliose cose. II tragico si serve soltanto del verisimile nobile; l'epico approfitta dell'uno e dell'altro. Il verisimile di fantasia consiste in quelle fervide intellettuali im. magini, con cui il poeta dà anima e vita a tutto ciò che espone o descrive. Favella sempre il poeta con leggi diverse da quelle che adopera chiunque altro, e le cose per sè triviali diventano in mano sua tanti idoletti vivi, spiritosi, e di vago risalto.

(1) Perfetta Poesia, tom. 1, lib. 1, cap. 11, pag. 124.

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