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Rossi nella Storia di Ravenna, il Pagi, il Muratori, il Lami, e molti altri. Ecco dunque qual peso rimanga all'autorità del Villani e del Malespini, che tuttavia non ispalleggia per nulla l’Ubaldiniana iscrizione; e se il Borghini dir potesse con giustizia, che Federigo fusse in Firenze in questi tempi, è cosa notissima, chi ha senno lo giudichi.

e

Lo Imperadore venne ben in Toscana l'anno dopo, a giudizio di Matteo Palmieri, ove fece quanto a lui viene ascritto dal Malespini, dal Villani, come operato nell'anno avanti: Fridericus omnes Hetruriae Civitates agraria ditione privat praeter Pistorium (1). E si pose all'assedio di Siena nel 1186, col mezzo di Arrigo suo figlio (2), avvegnachè pur questo, tanto dai detti storici, come dal Tomasio, fosse narrato sotto il 1184. Allora per avventura successe il fatto raccontato nell' iscrizione Ubaldiniana, che io non ardisco di mettere in dubbio, del quale se ne scorge una bellissima rappresentazione dipinta nella real Villa del Poggio fuor di Firenze da Giovanni da Brugia, detto lo Stradano, che morì nel 1605. Ma quello che non sussiste, egli è il voler tutto questo accaduto nel 1184. Or ecco che l'aperta menzogna dell'iscrizione, congiunta a tutte le cose già dette, mostra chiaramente che essa

(1) In Chronico ad an. 185.

(2) Vid. Muratori Antiquit. Medii Aevi, tom. 4› pag. 468.

non fu allora incisa, ma molto dopo, in tempo cioè che la serie passata di non pochi anni avea fatto l'anno preciso obbliare, in cui la famiglia Ubaldini un tanto onor ricevette. Nè manca già altra ragione in comprova di tutto ciò; poichè alcuno non deve darsi a credere che la testa del cervo, la qual nel marmo si vele, sia in esso marmo incisa: essa è di ferro, e mostra di essere ben antica, ed è stata nel detto marmo riportata. Ora chi non vede l'inganno? Chi non si persuaderà che se Ubaldino avesse nel 1184 fatto stendere quell'iscrizione per conservar la memoria dell' ottenuto stemma, avrebbe ancor fatto che nel marmo stesso, giacchè v'era luogo a dovizia, si vedesse scolpita? Creder dunque ci giova, che da esso lui quella testa a basso rilievo di ferro fosse stata ordinata: questa per avventura era già sulla porta del Castello di Pila, e questa poi rinvenuta fu in questo marmo incastrata a rinnovar la memoria dell' accaduto, ma non bene, giacchè il componitore non ebbe troppo riguardo a marcare il tempo preciso, e ciecamente errò nell'anno.

Se monsignor Fontanini non colse nel punto ragionando di questa iscrizione, come abbiam detto, v'andò dunque vicino, e specialmente allor che disse, non potersi forse provare che Federigo fosse a que' giorni in Toscana. E se il Quadrio avesse meglio voluto esaminar la faccenda, non avrebbe del tutto chiamate frivole le ragioni di lui; nè so con qual verità questo

grand'uomo scriver potesse, che già erano state le sue ragioni da altri proposte, e rigettate e sciolte, prima che egli le richiamasse di nuovo alla luce. Quali poi sieno quelle rilessioni che al dottor Brocchi fecero parer non ispregevole questa iscrizione, egli sel vegga le nostre certamente son tali, che ce la persuadono apocrifa,

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Non ispiacerà, credo, ad alcuno che in questo mio ragionamento abbia impreso l'esame ancora di questa iscrizione, quantunque ciò paia contrario al mio scopo, che era solo di fissare l'epoca del primo monumento di poesia volgare, come ho fatto nel paragrafo antecedente. Ma giacchè del primo sicuro mi son trovato, mi è piaciuto vedere, se lo stesso riuscivami di quello che per secondo è stato da altri creduto, la qual cosa, avvegnachè abbia avuto un esito contrario al pensiero di tanti, non cessa però d'esser utile in qualche modo, poichè ci scopre un inganno, in cui sono stati non pochi letterati fin ora. Ovunque far si possa, egli dover di ciascuno avvertire gli errori occorsi non tanto nella Storia Letteraria, quanto in ogni altra facoltà. Luogo più opportuno di questo a me non si apprestava, onde mi è piaciuto qui farlo. Nè già per ciò si sminuisce nulla del pregio che hanno i Toscani nella poetica facoltà, poichè io credo benissimo, non ostante la falsa antichità della iscrizione, vi fossero nel 1184, e molto prima in Firenze, ed altrove, uomini del poetar volgare assai pratici, ai

che

quali sarebbe dato l'animo di comporre non solo quell' iscrizione, ma molte altre cose di più. È un accidente che nulla rimasto non sia, e ne dob biamo incolpare solo la trascuraggine altrui, e la barbarie di que' ferrei secoli; nè di tal accidente dobbiam molto far caso, quando altre ragioni ci persuadono che già era in vigore a que' tempi la nostra poesia.

S. VII.

Avanzamenti e vicende della volgar poesia fino all' an. 1250.

Ma per usata che fosse nel dodicesimo secolo,

e prima ancora la poesia volgare, non potè cosi tosto vestir quell' aria di maestà e bellezza, che andò di mano in mano acquistando, sì per 'la lingua, non ancora bene stabilita, e di raro nello scrivere adoperata, sì, come dissi, per la poca cura avuta de' componimenti fino a quei giorni usciti, i quali o cantar si doveano rozzamente improvvisando, o, se ancora scrivevansi, dopo che s'eran cantati, non si pensava a tenerne conto, perchè aveano già servito al fine, cui eran diretti, qual era di farsi intendere dalle amorose donne, che non capivan latino, siccome poc'anzi venne accennato. Ma poichè cominciò questa nostra lingua a piacere, e a divenir cortigiana, giusta l'espressione di Dante, ebbe la fortuna di vedersi trattata senza rossore dai saggi, e così

onorata veggendosi, tentò le strade tutte di apparir più vezzosa, prendendo in prestito dalla poesia gli abbigliamenti. Ciò era già addivenuto ai tempi di Federigo I imperadore.

Qual fosse il gusto del poetar di que' giorni, non può meglio rilevarsi, che dalla Canzone a noi rimasta di Ciullo d'Alcamo Siciliano, malainente detto dall' Allacci Ciullo dal Camo, o da Camo, il quale, secondo pensò l'Allacci medesimo, viveva ne' tempi che il Saladino, re di Babilonia, ed il Soldano d'Egitto, fecero ampi progressi contro de' Cristiani, lo che avvenne l'anno 1187. La conghiettura che Ciullo a quei giorni vivesse, non è mal fondata, poichè nella mentovata Canzone nomina egli il Saladino ed il Soldano come esistenti al suo tempo, non già come trapassati.

Se tanto avere donassimi quanto a lo Saladino, E per aiunta quanta lo Soldano.

Ora lo stile di questo Ciullo è tale, che mostra come a que'dì in Sicilia il dialetto volgare era similissimo a quello che anch'oggidì usa il volgo di Napoli, potendosene chiunque chiarire leggendola nel terzo volume de' Comentari del Crescimbeni, ove non vedrà strofe, che non sembri veracemente in lingua napoletana. S'andò però dirozzando la lingua, e particolarmente in Toscana, ove, intorno al 1200, fioriva Folcacchiero de Folcacchieri, cavalier sanese, primo introduttore per quanto sappiasi, della Canzone, che Toscao Petrarchesca si nomina, il quale adoperi

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