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S. IX.

Della scuola di Dante e del Petrarca nel secolo XIV. Decadenza del buon gusto poetico fino al 1480.

PARVE

ARVE a Dante che di maggior elevatezza, maestà e decoro capace fosse quest' arte nel nuovo idioma; quindi, dietro la scorta de’buoni rimatori, tanto si alzò sopra di essi, che svanir fece non poco le lodi loro. Pose studio particolare nelle sue Canzoni veramente divine, e piene d'altissima filosofia, che le rende in ogni parte ammirabili : tale, e tanta poi fu l'energia e la forza d'esprimere i suoi pensieri con evidenza e vivezza, che si rese quasi insuperabile. Spiaceva moltissimo a questo grand'uomo il vedere alcuni coltivar le lingue straniere, trascurando la propria, onde con risentimento e zelo prese a riprenderli nel suo Convivio (1). Mostrò pur anco apertamente in sè stesso un nobile pentimento a vantaggio della nostra poesia, poichè avendo nel 1294 dato principio al suo poema latinamente, mutò poco dopo consiglio, scrivendolo in terza rima volgare con quel credito che ognun sa; e riempiendolo tutto d'altissimi concetti filosofici, teologici e morali, diede a divedere che la volgar poesia non solo era agevole da adoperarsi negli amorosi tratteni

(1) Pag. 16 e segg.

menti, ma ancora nelle più ardue facoltà, e nei più elevati misteri di religione. Dubitando poi che l'esempio solo non bastasse a rimovere dalla bassezza, in cui giacevano, i freddi poeti, volle con bellissimi precetti insegnar l'artifizio da usarsi nello stile poetico, e nella tessitura specialmente delle Canzoni ne'suoi libri della Volgar Eloquenza. Fu quindi aperta un'ottima scuola, che a seguir si diedero gl'ingegni più floridi.

Fin qui era giunta la poesia ad ottenere decoro e profondità; mancavale però molto di quellà dolcissima leggiadria, che campeggiò in Grecia e nel Lazio, allorchè più vi fiorì l'arte poetica. Ma uscì dalla scuola Dantesca il celebre Cino Sinibaldi da Pistoia, giureconsulto, che, datosi ad una maniera più fluida e graziosa, fu cagione e principio, che per opera dell'eccellente suo, più in poesia, che in leggi discepolo, Francesco Petrarca, giugnessero le rime all'ultima sublimità, ed insieme al più alto grado della soavità più gioconda, di modo che ad invidiar non avessero le gentilezze anacreontiche e catulliane. Chiaro è cotanto il nome del Petrarca, che più facil sarebbe ch'io l'oscurassi parlandone, di quello che giugnessi a dirne la millesima parte de'pregi suoi. Unicamente dirò stimarsi egli a buon dritto il principe de' toscani rimatori, e che tutti coloro che vollero di poi fama, verseggiando, acquistarsi, dovettero bere alle purissime di lui fonti.

Visser col Petrarca Giovanni Boccaccio da Certaldo, il quale, non pago di recar la prosa volgare all'ultima squisitezza, studiossi ancora di arricchire la poesia italiana del poema epico, sebbene con non molta felicità, scrivendo specialmente la Teseide. Altri eccellenti, ed in buon numero, dalla scuola Petrarchesca uscirono verseggiatori: morto però il Petrarca nel 1374, ed estinti que' pochi, che aveano saputo trarre splendore dalla luce di lui, si vide tornata alla primiera bassezza quest' arte, di maniera che, dopo il 1400, rarissimi furono coloro che con qualche brio e vivacità verseggiassero, se tolgasi Giusto de'Co nti ed alcuni altri.

La cagione del corrompimento novello della volgar poesia non può negarsi che in gran parte a coloro non convenga, che Laudi Spirituali a scriver presero, perchè, più intenti alle divine lodi, che a lusingar col bel dire l'orecchio, trascurarono ogni ornamento. I Monaci Gesuati, il cui ordine fu istituito da s. Giovanni Colombino ed approvato da Urbano V nel 1367, quelli furono che le laudi introdussero, di maniera che in poco di tempo vennero comunissime, e nel secolo XV molte se ne scrivevano. Sebbene però delle buone se ne trovino, tuttavia per lo più furono cose di poco pregio.

Nel detto secolo si cominciò a coltivar la Drammatica, ma con si poco gusto, che non meriterebbero pur d'essere commemorate le farse, e le rappresentazioni teatrali di que'giorni. Tacerò

l'impulitezza dello stile, misto per lo più di barbare voci, di latinismi e lombardismi, e nulla dirò delle inverisimiglianze intollerabili, di che furono pieni, tanto i sacri, quanto i profani teatrali spettacoli: di nobili, che erano state le rime, divennero vili e plebee, servendo per lo più a ballate insulse, barzellette popolari, strambotti, bisticci, e canzonette trivialissime. Così per molti anni andò decadendo il buon gusto di poetare in Italia, sebbene non mancassero di volta in volta buoni verseggiatori, i quali, per essere stati di poco numero, non valsero a dar fama ai loro tempi.

S. X.

Risorgimento della Poesia volgare per opera di Lorenzo de' Medici. Scuola del Tebaldeo. Progressi di quest' arte fino al 1595.

NoN mai tanto si videro l'arti

e le scienze

fiorire, quanto allora che furono da gran signori coltivate e protette. Riesce stimolo assai efficace l'esempio de' Grandi, non solo per lo specchio, che altrui formano di sè stessi, ma altresì per il premio esibito a chi lodevolmente vuol farsene imitatore. Tanto videsi verificare nel Magnifico Lorenzo di Piero di Cosimo de' Medici, che fiorì verso il 1480. Questi, fatto capo della repubblica fiorentina, con tanto ardore cercò di stabilir in Firenze la buona letteratura, parte colla sua dottrina, parte coll'autorità, i più celebri maestri

chiamando, acciò ristorassero co' loro insegna, menti il grave danno agli studi dalla barbarie recato, che meritamente venne appellato il padre delle lettere. La corte di essolui fu ricetto degli uomini più eccellenti in ogni genere, ma particolarmente in poesia, tra' quali sono memorabili Angiolo Poliziano, Gio. Pico della Mirandola, Luigi, Luca e Bernardo, fratelli Pulci, ed altri molti, nella dolcezza ed elevatezza del verseggiare imitatori del Mecenate loro, che la scuola del Petrarca omai trasandata del tutto riaperse. Questa dotta Accademia non solo ristorò la Melica, ma in buona parte ancor la Drammatica, con rappresentazioni meno sconce delle passate, e con perfette commedie, la prima delle quali fu la Calandra di Bernardo Divizio da Bibiena, pria segretario di Lorenzo, di poi cardinale. Cominciossi del pari a ridur l'Epica a miglior perfezione nel genere romanzesco da Luigi Pulci, il quale, all'uso degli antichi Rassodi, alla tavola del suo signore cantò il suo poema del Morgante.

Nel medesimo tempo che in Toscana la petrarchesca poesia si risvegliò, videsi aperta un'altra scuola in Lombardia, di cui fu principal capo Antonio Tebaldeo ferrarese, tutto intento alle gentilezze, a'pensieri teneri e gai, sul gusto di Anacreonte. Se alla novità del pensare avesse congiunto il Tebaldeo la purgatezza dello stile, non v'ha dubbio che sarebbe stato stimato più di quel che non fu. Ottimi seguaci trovò egli del suo nuovo genio, tra'quali Timoteo Bendedei

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