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risuono dall' Italiano Parnaso, è sembrata non degno argomento alle vergini Muse, hanno da qualche tempo sbandita questa noiosa, e, per le lunghe ripetizioni, stucchevole maniera di poetare, appigliandosi a quella che è più confacente, al fine di giovare piacendo, ora soggetti trattando di ottima filosofia, ed ora innalzando con degni encomi le gesta de'più riguardevoli personaggi, e finalmente con sacri inni le glorie del Creatore magnificando.

L'Epica ha pochi seguaci, del che non so decidere se la colpa rifonder si debba o nella disperazione di eguagliar gli antichi, creduti presso che divini in questo, o pure nella scarsezza de'Mecenati, che più non tengon poeti presso di sè, che a patti specialmente di compor pel teatro, ond'è che nessuno ha più ozio di meditar e descrivere un eroico poema. Nascono ben però di tratto in tratto sotto le penne de' nostri verseggiatori certe brevi Epopeie, che chiamiamo Poemetti, i quali mostrano non altro mancare fuorchè stimolo favore a suscitar novellamente l'ardito suono delle trombe d'Omero e di Virgilio.

e

La Drammatica si è vestita d'una pompa assai luminosa. Convien dar questo vanto al celebre Metastasio d'averla egli fatta universalmente piacere. Tuttavolta gridasi da certuni che il teatro italiano non è ben riformato pur anche, e si esalta la Francia come inimitabile, e come oggetto d'invidia agl'Italiani. D'onde mai avvien ciò? A mio parere deriva dall'applicarsi i nostri al peggio,

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e trascurar il migliore. Le opere teatrali per musica unicamente si bramano, non per la poesia, che strozzata nelle gole de'cantanti intendere non si può, nè per le buone leggi di comporre, che sempre sono trascurate in simili poesie fantastiche, e soverchio maravigliose, ma per tutt'altro. La Commedia buffonesca si vuole ad ogni patto, purchè il dramma alletti con la musica, e la commedia faccia ridere, tutto ordinariamente si approva. La perfetta Tragedia poi, e la Commedia sensata ascoltasi dalla moltitudine con nausea, perchè non se ne intende l'artifizio; per questo, quantunque l'Italia abbia perfettissimi drammatici antichi, e moderni, rimaner dovrà sempre in questo fanatismo di lodare l'altrùi; ẽ biasimare il suo, fin a tanto che vivranno drammatici impostori, che ad ogni prologo vadan dicendo, che il popolaccio solo è il vero giudice de' buoni drammi, e che non occorrono tante leggi e tante avvertenze in chi scrive.

e

Ma un real principe di grand'animo, e discernimento fornito, ha ben saputo a'dì nostri opporsi

a chi tenta d'avvilir la nazione con farla credere incapace di calzar socco e coturno. Parlo del nostro invittissimo sovrano DON FERDINANDO DI BORBONE, che veggendo farsi all'italiano teatro così gran torto, ha fatto nel 1770 alle italiane Muse offerire un programma, in cui onorato premio determinando a chi la più perfetta Tragedia, o Commedia rappresentasse alla Reale Deputazione, da lui istituita di sapientissimi uomini, ha dimo

strato evidentemente come l'italico

dorma, poichè d'anno in anno si sono

valore non vedute a

gara concorrere tragedie, e commedie bellissime a contendere della palma, e quelle che sono state premiate, rappresentate e pubblicate, ne fanno pienissima fede.

Spesso ho sentito dirsi da alcuni, che il buon gusto poetico da qui a qualche tempo decaderà, e che ritorneranno i secoli barbarici, per far eco allo smoderato seicento. Ma chi può essere profeta? Certa cosa è, che avendo noi osservate le molte vicende, cui la volgar poesia soggiacque, ed avendo veduto che dietro un buon secolo ne venne quasi sempre un cattivo, potrebbesi dubitare a ragione di novella rovina: ma la sorte infelice di quelli, che la poesia altre volte corruppero per non averne voluto osservare le buone leggi, spero che farà cauti coloro, cui per avventura piacesse di calcar strade nuove; e son di parere che l'arte di pensare, ridotta in oggi a tanta finezza, non lascerà cadere i moderni poeti ne'trasporti de'trapassati.

A

ACCENTO.

CCENTO. Altro non è l'accento che una certa portatura di voce, che suol darsi ad una sillaba nel mentre che si pronunzia. In alcnne sillabe si fa suonar la voce con veemenza ed innalzamento, ed allora l'accento si chiama acuto; in altre si tiene moderata e piana, e l'accento addimandasi grave; ed in alcune poi, trattenendosi quasi tra i limiti dell'uno e dell'altro, e formandosi la pronunzia, dirò così, a bocca aperta, si viene a far sentir quell'accento, che circonflesso si appella. Sebbene Alessandro Piccolomini, nella sua Poetica attribuisca tutte queste fogge di accenti alla lingua volgare, a me piace però di dire col Varchi, che del circonflesso n'è affatto priva (1), parendo, che se ancora alcuno avessene, può di leggieri confondersi coll' acuto. Ma perchè l'armonia e il numero del verso italiano pare che unicamente e principalmente dall'accento acuto ripeter si debba, poichè a render il verso buono basta che certe determinate sillabe, tra le varie che lo compongono, sieno di forte spicco, e quasi tra l'altre ribalzino (suppostavi però la cesura, di cui a suo luogo dirassi) noi solo considereremo l'accento acuto, dicendo, non poter qualsivoglia parola averne

(1) Ercolano, pag. 192. Ediz. ven., pel Giunti, 1580.

sillaba sola di

fuorchè un solo, poichè in una ciascuna parola s'innalza quasi impuntando la voce, ed appunto in quella sillaba viene a cadere l'accento acuto. Alcune adunque l'avranno sulla prima sillaba, come tempo, barbara, togliemene, e questo dirassi accento iniziale; altre in alcuna sillaba di mezzo, come amico, dolcemente, e questo chiamerassi medio; ed altre finalmente sull'ultima, come tutte le parole di desinenza tronca, si naturale, come artifiziale, virtù, perchè, amor, crudel, e questo finale si chiamerà. Le voci monosillabe devono esse pure come un accento considerarsi, ma non dovranno aver forza di accento acuto i segnacasi, e le preposizioni, ed altre simili voci, le quali nulla di per sè stesse significando, anzi dovendo tosto nel pronunziare congiungersi con la parola seguente, non esigono quella vibrazione e forza che si fa in altre sillabe. Che se alcuno volesse su di queste fissar l'accento s'accorgerebbe, in recitando, quanta noia apporti quella sconciatezza di dover necessariamente far pausa su d'una voce che non può star sola, perchè gli converrebbe recitar il verso in questo modo;

Era la terra di-fiori coperta,

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cioè riposando troppo su quel di segnacaso. Le parole, che terminano in due vocali, come Dio, Astrea, oltre il privilegio che hanno di unir nel mezzo del verso quelle due vocali in una sillaba solo per la figura Sineresi, hanno ancora questo, che le medesime due vocali in una sillaba con

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