Vesme, gentiluomini dotti e rispettabili, che spesero denari e fatiche per pubblicarle, e che con fede sicura ne sostennero l'autenticità. Rispettiamo le loro convinzionį, sebbene non ci sia possibile parteciparle. Voi non vorrete certo, signori, che io vi dica il nome del falsario. E non potrei dirvelo, perchè non lo so. Quello solo che mi pare, non solo probabile, ma certo, si è che egli doveva essere un paleografo molto abile e che potesse stendere la mano negli archivi di qualche città di Sardegna. Cosimo Manca è possibile che lo sapesse, ma è morto. E disgraziatamente è morto anche il decifratore di tutte quelle Carte, il paleografo Pillito. Oramai non possiamo sapere più nulla, ma è probabile, molto probabile, quasi sicuro, che nuove Carte di Arborèa non verranno in luce mai più. Tutti i fantasmi evocati dalla penna del taumaturgo impostore sono rientrati nei loro sepolcri, e non compariranno mai più davanti a noi; il poema eroicomico è finito. Io sento di potervi garantire che nel cupo deposito, da cui il Manca traeva le sue carte, non c'è più nulla; come sono certo che tra pochi anni dalle controversie letterarie sarà affatto sparita questa vana e noiosa questione delle falsificazioni di Arborèa, che ha appassionato tanti spiriti, che ha fatto perdere inutilmente tanto tempo, che è stata cagione di tante acri polemiche. Gli onesti ed illusi sostenitori di quelle Carte malaugurate ci dicono: voi volete disconoscere, volete calpestare una nuova gloria che si aggiunge alle tante glorie d'Italia; i vostri preconcetti e i vostri pregiudizi letterarii non vi permettono di accettare le nuove e grandi verità che emanano da questi documenti. Noi, o signori, respingiamo energicamente quest'ac cusa. Noi amiamo quant'altri mai le glorie vere della nostra patria; noi non abbiamo nè preconcetti nè pregiudizi; è nostro orgoglio anzi essere, umili sì, ma zelanti seguaci e propugnatori di quel metodo che non crede che ai fatti, che non studia che i fatti. Ma questi fatti noi li vogliamo chiari, lucidi, sicuri, autentici, genuini; vogliamo vederli da tutti i lati; investigarli per farne fondamento stabile di scienza, non base equivoca e barcollante alle ambizioni municipali o ad altri ignobili fini di un disprezzabile falsario. Noi amiamo la nobile e forte Sardegna come ogni parte d'Italia; noi saremmo felici di poter dire: sì, è vero, un'isola italiana ha avuto nell'evo medió una civiltà superiore a quella di tutti gli altri popoli dell'Europa; sì, è vero, la nostra lingua è più antica di tutte le altre lingue sorelle; sì, la nostra letteratura è indipendente da ogni influenza straniera, ha dei componimenti antichissimi e originali. Sarebbe un vanto per noi poter dire tutto questo, confessare di avere sbagliato, ricominciare tutti i nostri studii ed i nostri lavori. Ma quando tutto questo ci apparisce come una falsità, come una impudente falsità, dovremmo forse per amore della gloria italiana rinnegare la nostra coscienza? Chi lo facesse diventerebbe davvero più disprezzabile del falsario delle Carte d'Arborèa. FINE DEL TOMO SECONDO settentrione d'Italia. CAPITOLO VI.... CAPITOLO VII.. ....Pag. 1 ... 25 Poesie dialettali di genere religioso e morale nel - - settentrione d'Italia.. Poesie dialettali di genere civile e politico nel Poesie dialettali di genere civile e politico nel Composizioni dialettali di genere amoroso nel La scuola poetica siculo-provenzale CAPITOLO IX.... La drammatica religiosa CAPITOLO X..... - La poesia giocosa e satirica in Toscana.. 249 275 291 APPENDICE II..... Il Carroccio di Rambaldo di Vaqueiras..... 341 Compianto di Sordello in morte di Blacas.. 351 |