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leggenda, trasformando il poetico amante d'Ildegonda in un monachum olitorem.

E non si è fermata neppur qui. Leggiamo quello che il Novalicense ci racconta. Desiderio re dei Longobardi sente che Carlo sta per muovere contro di lui; quindi manda a tutti i potenti ed i magnati del suo regno domandando quello che debba fare; ed essi rispondono: comanda che sieno chiusi con muro e calcina tutti gli aditi e le valli per cui dalla Gallia si può passare in Italia. Così infatti si fece. I Franchi venivano per conseguenza a pochi per volta, giorno per giorno. Adelchi (Algisus nella Cronaca) è l'eroe che difende i propugnacoli longobardi, fortissimo giovane che abbatte i nemici con un bastone ferrato. I Franchi non avrebbero trovato modo di passare, se non fosse stato il tradimento di un giullare longobardo, il quale prese a ballare ed a cantare al cospetto di Carlo cantiunculam a se compositam, la quale diceva: che premio si darà a colui che condurrà senza combattere Carlo in Italia? Il premio fu dato, ed il traditore per crepitudinem cujusdam montis guidò in Italia l'esercito franco. Restava ancora Pavia; ma mentre questa città era cinta d'assedio, accadde che la figliuola di Desiderio scrisse una lettera a Carlo, mandandola al di là del fiume Ticino per mezzo di una balista, ed in essa diceva che se egli degnasse prenderla in moglie, ella gli consegnerebbe la città e tutto il tesoro paterno. A ciò Carlo rispose

tali parole che vie maggiormente eccitarono l'amore della donzella. La quale tosto s'impadronì delle chiavi delle porte della città, che stavano a capo del letto di suo padre, e le mandò a Carlo, dicendogli di star pronto per la notte, ad un dato segnale. Carlo entrò, infatti; ed essendoglisi fatta incontro la fanciulla, gaudio ex promissione sublevata, fu rovesciata dai cavalli ed uccisa. Adelchi intanto, sguainata la spada, atterrava tutti i Franchi che entravano per la porta. A cui il padre interdì che così facesse, quia voluntas Dei erat.

I Franchi sono ormai padroni del regno Longobardo; Desiderio è prigioniero; Adelchi seguita ad errare per l'Italia. Un giorno gli riesce di giungere a Pavia; e riconosciuto da un antico e fedele servo del padre suo, lo prega di non tradirlo, ma anzi di fare in modo ch'ei possa assidersi alla mensa reale, e che voglia porgli dinanzi omnia ossa quae levatura sunt a mensa, tam carne detecta quamque cum carne de conspectu seniorum vexentium sublata. Così fu fatto; ed Adelchi stritolava tutte le ossa per mangiarne il midollo, come leone affamato che divora la preda: confringebat omnia ossa comedens medullas, quasi leo esuriens vorans predam; e le ossa maciullate gettava poi sotto la tavola, onde ne fece un grande ammasso non modicam pyram.

Che è ciò? domanda Carlo; chi potè rompere tutte queste ossa? Tutti risposero di non sa

perlo, tranne uno, il quale disse di aver veduto un fortissimo soldato, che stritolava le ossa dei cervi, dei bovi, come se fossero stati fuscelli di canapa: qui cuncta cervina, ursina ac bubina confregebat ossa, quasi quis confringeret cannabina stipula.

Carlo indovina che costui non poteva essere altri che Adelchi. Vuoi tu che io lo insegua e lo uccida? disse uno dei suoi fedeli. E come? rispose il re. Dammi, replicò l'altro, i tuoi braccialetti : ornamenta brachiorum tuorum, e con essi io lo ingannerò.

Adelchi è inseguito e raggiunto, e gli è teso l'agguato; al quale ei non resta preso; ma toglie i braccialetti di Carlo e gli manda i suoi in ricambio. I quali sono portati al re, che volle tosto metterseli al braccio, ma essi invece gli scorsero fino alle spalle: cucurrerunt illi mox usque ad humeros, tanta era la grossezza delle braccia di Adelchi.

Questo racconto ha dei caratteri che vogliono essere rilevati. È superfluo avvertire che in esso non è nulla di storico; ma che anzi tutto rivela il carattere della tradizione popolare. Adelchi che armato del poderoso bastone, atterra i Franchi; il giullare che si fa pagare il suo tradimento; la figlia di Desiderio innamorata di Carlo e traditrice del padre, uccisa sotto i cavalli nemici : Adelchi che solo resiste ed uccide, sinchè la parola paterna non gli impone che cessi, facendo

intervenire il fato, la divinità; la scena selvaggia del banchetto; l'inseguimento di Adelchi; la sto ria dei braccialetti: eccovi qui, evidentemente altrettanti prodotti dell' immaginazione popolare, i quali per il loro contenuto accennerebbero ad essere stati soggetto di canto. E se così fosse, noi avremmo qui i frammenti di una leggenda poetica longobarda, che si sarebbe formata in Italia, di contro alla leggenda carolingia. L'eroe di essa è Adelchi: Adelchi invincibile, fortissimo, gigante, di fronte a Carlo, ridotto ad umili proporzioni. Non è la forza o il valore che fa vincere i Franchi, ma il tradimento, il tradimento nelle stesse pareti domestiche, ispirato da un empio amore, e tosto punito. È questa un'epopea nel suo stato embrionale: sono i canti rapsodici ancora slegati; è un ciclo epico in formazione. E tutto questo sorto, senza alcun dubbio, nell'Italia settentrionale, ed elaborantesi parallelamente alla grande leggenda che al di là delle Alpi si andava componendo di Carlomagno. Se non che, mentre là l'eroe fu vincitore, qui invece fu vinto, e mancata la vittoria, la sorgente del canto epico restò inaridita. Ad ogni modo questi avanzi frammentari della Novalesa attestano un fatto che nella storia del pensiero e della civiltà italiana segna un momento di grande importanza, quello cioè nel quale, al contatto di un popolo straniero, avrebbe potuto destarsi il genio epico della nazione.

Oltre la storia di Adelchi si trovano pure nella Cronaca della Novalesa altri frammenti i quali accennano a tradizioni popolari, per esempio il racconto di Carlomagno e di sua moglie Berta. E qui già noi sentiamo subito come apparisca una di quelle confusioni di nomi che sono caratteristiche del racconto leggendario. Berta non è stata mai la moglie di Carlomagno, ma sibbene secondo certe tradizioni, una delle sorelle. Ora siccome un' altra tradizione rimprovera a Carlo degli amori illeciti colla sorella Gilla, e siccome ancora Berta e Gilla sono state confuse, così è forse spiegabile l'errore del racconto Novalicense. 1 Quivi dunque si legge che l'imperatore era a quel monastero, e che andò una mattina al matutino de' monaci. Nel tempo stesso a Berta, a cui sembra che non mancasse il vezzo della curiosità, venne voglia di vedere il famoso cenobio ; ed alzatasi di nascosto dal letto, senza che niuno il sapesse tranne una sua fedelissima ancella, si coprì di un mantello, induit se byrro, per non essere da nessuno riconosciuta, e con passo affrettato mosse verso il monastero. Ma giunta dinanzi alla porta dell' oratorio del beato Pietro, improvvisamente cadde, e subito spirò. L'imperatore intanto usciva dal matutino, e riconosciuta la moglie che giaceva morta in terra, proruppe in queste parole: Cum illis ergo pedibus cum

1 Per tutto questo ved. Paris, Hist. poet. de Charlmagne, vIII, X.

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