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quibus huc venisti, heu nequibis, mi cara, iam

remeare.

Come sentesi, anco questo è tutto leggendario; ed il monaco ne ha fatto suo pro, per vantarsi che Carlomagno è stato al suo monastero, e che in esso è sepolta sua moglie.

Ma ciò ne significa pure che le leggende relative a Carlo erano divulgate in Italia, che alcune, anzi, erano sorte qui probabilmente, e che intorno ad esse si componevano canti, dei quali mi pare un informe frammento quello citato sopra, delle parole dette dall'imperatore alla vista della moglie morta.

Se poi dalla leggenda che possiamo chiamare eroica o romanzesca, noi passassimo a quella religiosa, non so dire quante e quali storie strane potremmo rinvenire nel libro del quale stiamo occupandoci. Ivi si narra, per esempio, che lo stesso giorno nel quale accadeva una battaglia a Fontaneto tra i discendenti di Carlomagno, questo fatto era annunziato ai Romani dal demonio, il quale stando in una delle più alte finestre della chiesa di San Pietro, mentre i canonici dicevano l'ufizio, annunziò loro a voce alta (magna voce) che Carlo juniore e Pipino, Lotario e Lodovico re stavano combattendo. Ed è singolare quello che soggiunge il cronista, quasi a scusare sè stesso della enormità di simile racconto: coloro che notarono il giorno e l'ora, trovarono che era stato il diavolo colui che aveva dato tale notizia.

Così pure in altro luogo si narra una visione occorsa a Leone vescovo di Vercelli, il quale voleva usurpare l'abbazia della Novalesa e l'episcopio di Santa Maria Eporediense. Questo tratto merita di essere riferito nell' originale latino: quadam nocte venit beatissima ac gloriosissima Dei genitrix, quasi consparsis crinibus et dissolutis atque lacrimosis oculis, ducens secum beatissimum patronum nostrum Petrum. Ipsa vero precedens ut domina, venit ad lectum predicti episcopi, ad quem cum venisset, ait: Dormis, episcope? Ad quam ille pavidus respondit: Quis es? et illa: Sum Maria genitrix Dei ac Salvatoris humani generis. Cui ille: Quid ad me venisti, preclara domina? et illa: Cave ne ultra ecclesiam meam Epporediensem querere audeas, si mortem pessimam non vis ocius incurrere

....

Noi sentiamo subito qui che la popolarità della forma non potrebbe essere più spiccata; e per ciò che riguarda il contenuto, ogni osservazione sarebbe superflua.

Questo Chronicon Novalicense adunque, pur rimanendo affatto monastico, ci indica uno sviluppo, un atteggiamento che prese il racconto storico, assorbendo in sè la tradizione popolare, conservandola, ripetendola, mescolando inconsciamente la verità storica alla finzione poetica, o in altri termini, dando alla leggenda il valore storico, e alla storia il colorito leggendario.

BARTOLI. St. della Letterat. Ital. - Vol. I.

2

Non potrei citare tutte le cronache di questo genere che ebbe il medioevo; ma mi basterà di ricordare quella, più antica ancora (IX secolo), del Monaco di San Gallo sulla vita e sulle imprese di Carlo Magno. E scelgo questa, perchè essa è il più antico monumento sulla storia poetica di Carlo, ed apre la serie delle infinite produzioni ispirate dalla sua memoria. Essendo Carlo il Grosso al monastero di San Gallo in Svizzera, trovò un vecchio monaco il quale gli raccontò molti aneddoti riguardanti Carlomagno, narrati già a lui nell'età infantile da un antico soldato dell'esercito di Carlo. L'imperatore pregò il monaco di scrivere queste memorie della sua infanzia, e così ebbe origine la Cronaca Sangallese. L'autore voleva dividerla in tre libri; il 1° sulle relazioni di Carlomagno colla Chiesa ed i chierici; il 2° sulle sue guerre; il 3o sulla sua vita privata. A noi però non rimane che il primo, ed una parte del secondo; e non sappiamo se il resto o non sia stato scritto o sia perduto. Ma in quello che rimane, abbonda già largamente l'elemento leggendario, emanazione diretta della fantasia popolare, o trasformazione di antica storia applicata a nuovi casi: come, per es., la storia di Pipino il gobbo (Pippinus gipperosus, cap. XII,

1 Monachi Sangallensis, De Gestis Caroli Imperatoris. Pertz, Monum. Germ. Script., II.

2 Ved. Paris, Hist. poét., 39.

p. 756); quella del gigante Eishere, che infilava coll'asta sette od otto o nove nemici ad un tempo e così infilati li portava qua e là (huc illuc portare solebam, cap. xII, pag. 757); le lacrime di Carlomagno (cap. xiv, pag. 757); il combattimento di Pipino col Leone (cap. xv, pag. 758); l'apparizione di Carlomagno (cap. XVII, pag. 759).

Mi fermo un momento su quest'ultima, perchè in essa mi pare che si riveli meglio il lavoro fantastico che è la prima preparazione dell'epopea; e perchè ancora noi vedremo in questa storia un personaggio del quale ci siamo occupati parlando della Cronaca della Novalesa.

Otkero principe potente avendo offeso Carlomagno, cercò rifugio presso Desiderio. Avendo essi udito che Carlo si avvicinava, salirono sopra un'altissima torre, dalla quale potevano scorgere tutte le terre circostanti.

Mentre essi stanno discorrendo, ecco apparire prima la scuola, quindi i vescovi, gli abati, i chierici, i cappellani, alla vista de'quali Desiderio piangendo grida (singultando blateravit): discendiamo e nascondiamoci in terra dalla faccia del furore di un così terribile avversario. A cui Otkero, delle cose e dell'apparato dell'incomparabile Carlo già esperto, rispose: Quando vedrai inorridire la messe dei campi divenuta colore del ferro; quando vedrai le onde del Po e del Ticino negre come il ferro abbattere le mura della città, allora sarà Carlo che si avvicina. Ed ecco, men

tr'egli così diceva, apparire all'occaso delle nubi tenebrose, che il giorno chiaro convertirono in orribili ombre. Ma già a poco a poco l'imperatore si avanza, e lo splendore delle sue armi vince il tenebrore della notte. Apparisce il ferreo Carlo, di ferreo elmo coperto, di ferrei braccialetti adorno, coperto di ferrea corazza il ferreo petto; con ferrea asta nella mano sinistra, sopra un cavallo di colore e di animo ferreo. Il ferro riempie i campi e le piazze, un confuso clamore risuona: o ferrum, heu ferrum!

E Carlomagno intanto dice ai suoi: facciamo oggi qualche cosa di memorabile, perchè non ci si rimproveri di aver passato in ozio questa giornata... facciamo costruire un piccolo oratorio E tosto la calcina, i legnami, le pietre sono portate, e in poche ore sorge compiuta ed anche dipinta una tale basilica che niuno crederebbe potesse essere stata costruita neppure in un anno... Questo eroe tutto di ferro, questo cielo coperto di nuvoli neri, queste tenebre rischiarate solamente dalla luce tetra delle armi, sono un quadro trucemente bello, a cui fanno cornice quegli accessori del racconto che ho citati, e del quale poi sono appendice tutta medievale la storia della basilica. Vedete come al sublime del concepimento popolare schietto, fiero, cupo, ferreo veramente, tenga dietro il ridicolo: accoppiamento continuo nel medio evo; e vedete come all'elemento eroico si amalgami l'elemento religioso. Sono queste, due

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