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grandi correnti di sentimenti e di idee, che rampollavano egualmente profonde dall'animo umano, sorgenti l'una e l'altra di molte e varie forme dell'arte, le quali mirano generalmente al medesimo scopo, l'apoteosi del guerriero o del santo; o qualche volta, come nel caso presente, fanno di ambedue una sola persona, che ha l'aureola di luce celeste intorno al capo, e la spada sterminatrice fra le mani.

È da avvertire che di questa come delle altre leggende del Sangallese, non si ritrova più traccia altrove, in nessuno dei tanti poemi del ciclo Carolingio. È una corrente sotterranea che si è perduta; è il lavoro primordiale della leggenda côlto in un momento di formazione preletteraria, potuto cogliere, intendo, per la combinazione che un monaco mise in iscritto quel che gli aveva raccontato a viva voce da fanciullo un vecchio soldato.

Se invece di scrivere per un imperatore, e di mirare quindi alle ricercatezze dello stile (le quali non fanno altro che renderlo più barbaro, più contorto, più affaticante), questo cronista avesse scritto pei rustici; e se, ancora, ci restasse di lui quella parte della vita privata di Carlo, dove il leggendarismo si sviluppò così riccamente, noi avremmo nell'opera sua una delle cronache più importanti dell' età di mezzo.

Ma è tempo oramai che noi vediamo un indirizzo diverso preso dalla cronaca monastica. La quale, come dallo scheletro degli Annales Casi

nates (che ho citati come specimen del genere), si è svolta in istoria leggendaria, così va prendendo forma di storia documentata. Il monaco dice di disprezzare il mondo, e di amare solamente il suo cenobio, che è il suo mondo piccolo, al quale lo legano tutti gli affetti della sua vita. Codesto cenobio però ha ricevuto diritti, privilegi, doni dai principi e dalla pietà paurosa dei fedeli: c'è una stanza dove codeste carte si conservano, c'è un monaco che ne ha cura (chartophylax). Qual cosa migliore che scrivere la storia del cenobio stesso, raccogliendone i documenti più importanti? Così ha fatto Gregorio monaco, autore del Chronicon Farfense1 (sec. XI-XII). Egli di virtù, di miracoli, di fatti illustri o prodigiosi non dice parola, ma invece sono i diplomi, le bolle, le donazioni, le compre, le permute, le enfiteusi, quelle a cui si volge. Egli con verace stile registra i singoli acquisti di ciascun abate, e le inique largizioni, le detestabili disposizioni, non che di qualunque uomo le ingiuste invasioni, e le empie. ruberie (direptiones). Qui è la carta con cui Carlomagno omnia bona, privilegia et jura Farfensi Coenobio confirmat;3 altrove è la donazione che Lodovico Pio e Lotario. I fanno a Farfa di un monastero; e la esenzione dai tributi (col. 386),

1 Rer. Ital. Script., II, 2a, p. 287.

2 Col. 314.

3 Col. 358.

4 Col. 382.

e le conferme delle immunità (col. 399), e via dicendo. Poi ancora l'inventario dei beni perduti (quas postea perdidit iniquorum hominum sublatione, col. 418), poichè, dice il monaco, questo monastero andò di giorno in giorno aumentando non mediocriter, in beni spirituali e temporali, i quali poi ci furono tolti, come ho trovato scritto in antichissime ed autentiche membrane (col. 417). Viene appresso la nota dei casali nell'Agro Sabino, la nota dei servi del monastero e delle loro sostanze (coll. 420, 428); insomma una specie di chartularium, di regestum delle carte che potevano interessare il cenobio, certo più temporalmente che spiritualmente.

Qualcheduno potrebbe qui trovare l'occasione per deplorare (più o meno retoricamente) l'avidità monacale, quella cura sollecita, quell'appetito de' beni mondani che apparisce evidente da queste pagine, scritte sul finire del secolo XI. Io invece di questo fatto mi rallegro. Questa cura appunto di salvare le antiche carte, questo pensiero di toglierle alla dimenticanza, questo schierarvi là i diplomi, i privilegi, i diritti, i possessi, è un'affermazione del mondo esteriore al cenobio. Il Monaco sente che ci è qualche cosa oltre le mura del recinto sacro; sente che non si vive solamente di preghiere, di digiuni, di macerazioni: egli si umanizza, e senza saperlo, prepara i funerali a sè stesso. Egli non vive più nelle regioni sovramondane del mistero, del miracolo, e nep

pure nelle poetiche fantasie della leggenda; no, ma invece vive nell' archivio del suo convento, intento a leggere, a decifrare, a comporre il suo Cartario; egli guarda bensì al passato, ma per amore del presente e dell'avvenire; e quando ignora un fatto preferisce tacere, piuttosto che dirne cose false o frivole: son le parole precise del Monaco di Farfa. Noi abbiamo fatto evidentemente un grande cammino.

Nè il progresso apparisce solo in questo cartofilace di Farsa, ma in altri parecchi. Prendete, per esempio, in mano la Cronaca Cassinese di Leone Marsicano1 (sec. xI). Anch' egli è bibliotecario del suo monastero, e rivolge lo studio agli antichi documenti, per tesserne la sua storia, e (notatelo bene) per patrocinare le liti che sorgevano pei possessi cassinesi.3 Egli consulta carte e libri, e torna più volte sul proprio lavoro per correggerlo od ampliarlo. Le opere che conosce non sono poche: i dialoghi di Gregorio, il chronicum Salernitanum, i dialoghi di Desiderio, gli annali Beneventani, Erchemperto, la Storia dei Normanni di Amato,5 le epistole di Pier Damiano, ed altre. Scrive con diligenza e con sufficiente proprietà (satis purus, dice Wattembach), cita una volta Sallustio ed un'altra Virgilio e Cicerone,

1 Pertz, Monum. Germ., VII.

2 Cf. prefaz. di Wattenbach, pag. 552.

3 Wattenbach, pref., pag. 552.

4 Ivi, 558, 559-560.

5 Lystoire de li Normant ecc. par Aimé. Cfr. pref. Watt., 560.

riporta dei versi di Paolino da Nola. Già dai soli titoli di alcuni capitoli di questa Cronaca apparisce quale concetto più largo, e direi quasi più storico, movesse l'autore: per esempio della venuta del duca Gisulfo in questo luogo, e della concessione fatta delle terre circostanti (1, 5); della venuta di Carlomagno in Italia, di ciò che egli fece e di alcune sue concessioni al monastero (1, 12); come i Greci prendessero Benevento (1, 49); come il regno d'Italia passasse dai Franchi ai Teutonici (1, 61) ecc. Egli paragona tra loro gli scrittori da cui attinge notizie, e li nomina quando lo crede utile ad accrescere autorità alle proprie parole. Suo scopo precipuo è quello di narrare i casi del monastero, e di spiegare i titoli dei possessi, e gli altri diritti e privilegi;1 ma non tralascia però di ricordare anche tutto ciò che può tornare a lustro del monastero stesso, sia rispetto alle lettere che alle arti; e le notizie che egli ne dà sono tali che su questa Cronaca specialmente si è fondato il Giesebrecht, per il suo ingegnoso lavoro sugli studi letterari degli italiani nei primi secoli del medioevo.

Come sentesi la cronaca monastica si è andata trasformando: necessità dei tempi, i quali riconducono il cenobita sulla terra, e lo costringono a interessarsi di questo mondo da lui maledetto, e dei suoi beni materiali.

1 Wattenbach, pref., pag. 501.

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