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CAPITOLO XI

LA POESIA PROVENZALE

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L'evoluzione del volgare latino fu rapida in Provenza (l'antica Provincia romana, o Gallia Narbonensis), quindi fino dal secolo x ivi si operò il passaggio ad una lingua nuova, che i più antichi chiamarono romana, poi provenzale e lingua d'oc.

Sarebbe inutile per noi il parlare di quei primi monumenti della letteratura occitanica, i quali quanto sono importanti al filologo, altrettanto riescono di poco interesse allo storico, se non è per istabilire la data del primo apparire della nuova letteratura. Basterà dunque che dica, a questo proposito, che noi possediamo del secolo x un libro di Boezio,1 in versi di dieci e undici sillabe, e a lunghi periodi monorimici, e che a questo ten

1 Fu ristampato dal sig. P. Meyer, per uso degli studenti della Scuola delle Carte.

BARTOLI. St. della Letterat. Ital. - Vol. I.

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ner dietro la traduzione del Vangelo di san Giovanni, ed alcune poesie religiose, quali una preghiera alla Madonna, il martirio di santo Stefano ed altre.1

Ma non sono, come io diceva, tali composizioni che richiamano la nostra attenzione.

Avemmo indietro l'occasione di parlare della poesia popolare latina. Essa, come ben sappiamo, fu carissima al medioevo, e noi ce ne accorgiamo anche dal sentire come frequentemente molti gravi scrittori di quell' età inveiscano contro coloro che chiamano joculatores, ministellae, scurrae e via dicendo. Ora codesti improvvisatori plebei, codesti cantori di versi, codesti musici delle piazze e dei trivi, sembra che fossero specialmente accolti e festeggiati tra le popolazioni della Francia meridionale, vive, allegre, facili ad ogni impressione, avide di piaceri, di feste, di sollazzi, ed a cui la natura inspirava un vivo e forte sentimento della vita.

Intanto coll' XI secolo cominciava un nuovo periodo nella storia dell' età di mezzo, uno dei cui caratteri era quello spirito cavalleresco che sorto sotto l'influenza dell'ordine della cavalleria, riceveva un forte sviluppo dalle crociate. Codesto spirito cavalleresco era un insieme di sentimenti che noi oggi difficilmente potremmo analizzare. Ci entrava l'amore della gloria, il bisogno di go

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1 Vedi Bartsch, Grundriss zur Gesch. d. prov. Liter.

dere la vita; ci entrava la liberalità, la magnificenza, ma soprattutto la difesa del debole e quindi il culto per la donna.

Furono per conseguenza nuovi costumi e nuove opinioni che sorsero in mezzo alla società feudale, e che cominciarono ad ammorbidirla, a raffinarla, ad ingentilirla. È specialmente la difesa del debole, dell'oppresso, dello sventurato, il quale si trova alle prese colla forza brutale e coll' ingiustizia, è questo nobile sentimento che informa in un dato momento lo spirito cavalleresco e che è causa del suo svolgimento.

In un'epoca, come dice il Fauriel,' nella quale ogni diritto era incerto, e sostenuto unicamente dalle forze individuali; nella quale le violenze erano continue, ed effetto dello stato delle cose piuttosto che dei vizi degl' individui; in una tale epoca l'ufficio di difendere i diritti altrui, e specialmente quelli dei deboli, era ben difficile, ben arduo, ben pericoloso; era quasi una cosa impossibile. Ora l'eroismo cavalleresco consisteva appunto nel consacrarsi a questa missione, senza riflettere, senza calcolare, senza guardare davanti a sè, con un ardire che era tanto più bello, quanto pareva più temerario. Penetrare nel castello di un potente signore, e liberare una donna per darla all'uomo che l'ama; aiutare un amante in un ratto che può costare la vita; affrontare tutti

1 Hist. de la Poés. Prov., I, 487.

i pericoli, scherzar sempre colla morte, finire, solamente per ricominciare nuove e più difficili imprese, tale è la vita del cavaliere, tale lo spirito che lo informa, che lo anima, che lo rende potente.

Ma a siffatta vita che cosa lo spinge? Codesto desiderio di gloria, codesta sete di pericoli, codesto bisogno di farsi sostenitore del diritto altrui, dove trova la sua sorgente? In quale sentimento più profondo dell' animo suo che lo sostenga in tanti sacrifizii, che gli dia forza e coraggio in tante lotte? È, come già dicemmo, il culto per la donna, ossia l'amore cavalleresco. Quell' amore che è il principio supremo di ogni virtù, di ogni merito, di ogni gloria, che comprende in sè la bravura, il valore, la cortesia ed il sollazzo, e che diventa poi per il cavaliere che vuole esser degno di tal nome, la preoccupazione principale di tutta la sua vita.

Scegliere la dama, il cui amore e la cui stima fossero lo scopo e la ricompensa delle sue azioni, era cosa gravissima per il cavaliere. Una volta scelta, essa diventava l'essere sacro, l'ideale della sua esistenza la regina dei suoi pensieri. Era un vero vassallaggio trasportato nel regno dell'amore. Ma quella esaltazione di desiderio, di speranza e di devozione, nella quale consiste l'amore, doveva, secondo le idee cavalleresche, essere perfettamente spontanea, non doveva ricever legge che da sè stessa, e non poteva esistere che per

una sola persona. Quindi il vero amore era considerato impossibile nel matrimonio. Quindi ancora, teoricamente, ogni specie di voluttà era esclusa dall'amore. Il bacio che la dama dava al cavaliere nell'atto di riceverlo per suo uomo, per suo vassallo, doveva essere, secondo quelle teorie, il primo e l'ultimo bacio, sebbene poi sempre non fosse.

Tutto questo insieme d'idee, di opinioni, di abitudini, di sentimenti, di affetti che costituiscono lo spirito cavalleresco, noi lo troviamo oggettivamente rappresentato nei Poemi di Arturo e nei Romanzi di Avventura; come soggettivamente ne sono espressione le poesie dei trovatori provenzali.

Noi dicevamo poco fa come la Provenza accogliesse a festa ogni maniera di cantori popolari. Ma le loro rozze poesie non potevano sodisfare i gusti di una nobiltà che aspirava a godimenti poetici più fini e più delicati, ed in mezzo alla quale si era profondamente sviluppato lo spirito cavalleresco. Una poesia che fosse l'espressione di questo spirito, era la conseguenza naturale di questo stato di cose, ossia delle tendenze al canto, del bisogno di effondere i propri sentimenti, e nel tempo stesso dell'altro bisogno di elevare questo canto alla condizione del poeta cavaliere, e di farne il linguaggio poetico della società feudale. Così si elaborò quella che fu chiamata l'art de trobar, così sorse il trobaire, trovatore, cioè

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