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Exierunt Sado et Saducto invocabant imperio,

Et ipse sancte-pius incipiebat dicere:

Tanquam ad latronem venistis cum gladiis et fustibus:

Fuit jam namque tempus vos allevavit in omnibus,
Modo vero surrexistis adversus me consilium,

Nescio pro quid causa vultis me occidere.

Kallidus ille temtator ratum atque nomine
Coronam in caput ponet, et dicebat populo:
Ecce sumus imperator, possum vobis regere.

Laeto animo habebat de illo quo fecerat;
A daemonio vexatur, ad terram ceciderat:
Exierunt multae turmae, videre mirabilia.

Magnus Dominus Iesus Christus judicavit judicium,
Multa gens Paganorum exit in Calabria,
Super Salerno pervenerunt possidere civitas.

Juratum est ad sanctae Dei reliquiae
Ipse regnum defendendum et alium requirere.

Questo canto è del secolo ix. Non può esservi dubbio che esso sia stato composto da persona ignorantissima: forse da uno dei soldati dell' esercito dell'imperatore imprigionato.

I neolatinismi vi sono frequenti; le declinazioni non hanno più nessuna regolarità, apparisce il pronome usato come articolo, e come soggetto del verbo. Il metro si fonda sul numero delle sillabe e sull'accento: dovrebbero essere versi composti di emistichi di sette sillabe l'uno: il secondo emistichio è regolare, ed ha costantemente l' accento sulla antepenultima. Il primo è invece molto

alterato, sia questa colpa dell'autore o del trascrittore. Ad ogni modo qua noi abbiamo una poesia, nella quale sentiamo il tempo, in cui essa si produsse, e che fu ispirata da un fatto che agitava l'animo di chi scrisse. Non ci sono bellezze di forma: lo so; ci sono anzi dei barbarismi inauditi, se voi considerate il canto come poesia latina. Ma se lo considerate invece come anello tra il latino e il volgare italiano, esso vi apparirà nella sua vera importanza, mostrandovi come nelle infime classi fino dall' 800 si fosse giunti vicini alle forme neolatine, e come su di esse esercitasse la sua influenza il volgare latino.

Un altro canto, non meno importante, è quello dei soldati di Modena, scritto verso l'anno 942, quando questa città era assediata dagli Ungheri. La lingua, in cui è scritto, è più grammaticale dell'altra. Di più, ci sono delle reminiscenze di Troja e di Roma, c'è la madonna chiamata Theotocos, che tradiscono, s'io non m'inganno, la penna di un chierico. Ma di un chierico che si avvicina alla forma più popolare, che scrive per volere, essere inteso da tutti, dai cittadini, dai soldati, dal volgo.

O tu qui servas armis ista moenia,
Noli dormire, moneo, sed vigila.

Qui apparisce per la prima volta il nostro verso endecasillabo, regolarmente accentato; e siamo, ricordiamocelo bene, nella prima metà del de

cimo secolo. Oltre a ciò tutto il canto è ad assonanze monoritmiche, ogni verso terminando in a, eccettuati due soli che terminano in is, e che hanno, forse per caso, una rima leonina.

Si comincia da ricordare Ettore, Sinone, le oche del Campidoglio; si passa ad una preghiera a Cristo ed alla Madre di Dio; e si finisce con un eccitamento al valore ed alla vigilanza. Quest'ultima parte è la più viva, e sembra da essa rilevarsi che la poesia fosse destinata al canto:

Fortis juventus, virtus, audax bellica
Vestra per muros audiantur carmina:
Et sit in armis alterna vigilia

Ne fraus hostilis haec invadat' moenia.
Resultet echo comes: eja, vigila!
Per muros eja dicat echo, vigila!

C'è veramente del soldatesco, del forte, del vigoroso, come più su è bello il passaggio dai ricordi di Grecia e di Roma alla preghiera cristiana:

Nos adoremus celsa Christi numina,

Illi canora demus nostra jubila,
Illius magna fisi sub custodia,

Haec vigilantes jubilemus carmina.

I canti storici nella nostra letteratura volgare latina sono molti; nè io certo posso di tutti parlare. Abbiamo dello stesso secolo x una cantilena sulla sconfitta del re Adalberto, in versi ottonari,

consonanti a due a due;1 un canto in morte di un Landolfo; 2 un altro per la distruzione di Aquileja. Del secolo XI è importante il canto sulla vittoria riportata dai Pisani (1088) sui Saraceni in Affrica: canto e storia insieme di vittoria cittadina, che esalta lo scrittore e lo fa essere nella sua ruvida forma caldo ed eloquente. Il suo primo pensiero, celebrando il trionfo di Pisa, ri

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Landolfo, Hist. Med., in Pertz, Mon. Germ., VIII, 54; Du Mėril, Poés. ant., 271).

2 Anon. Salern., in Murat., Rer. Ital. Script., III, 11.

3 Du Méril, Poés ant., 234. Ha delle strofe improntate di molto sentimento:

Ad flendos tuos, Aquileja, cineres

Non mihi ullae sufficiunt lacrymae,

Desunt sermones, dolor sensum abstulit

Cordis amari.

Bella, sublimis, inclyta divitiis,

Olim fuisti celsa aedificiis,

Moenibus clara, sed magis innumerum
Civium turmis

Kaptivos trahunt quos reliquit gladius
Juvenes, senes, mulieres, parvulos;
Quidquid ab igne remansit diripitur
Manu praedorum.
O! quae in altum extollebas verticem,
Quomodo jaces despecta, inutilis
Pressa ruinis nunquam reparabilis
Tempus in omne.

4 Ved. Pertz, Arch. d. Gesellschaft f. ältere deutsche Geschichts

kunde, VII; Du Méril, Poés. du M. A., 239.

corre a Roma: sempre a quella Roma che sta così tenacemente confitta nel cuore degl' Italiani:

Inclytorum Pisanorum scripturus historiam

Antiquorum Romanorum renovo memoriam.

Il duce dei Saraceni era un dragone crudelissimo, una specie di anticristo:

Saracenus impius

Simulatus Antechristo, draco crudelissimus,

il quale devastava la Gallia, faceva prigioniere le genti di Spagna, turbava l'Italia, prendeva la Romania .... E i prigionieri invocavano un redentore:

Hinc captivi redemptorem clamabant altissime,
Et per orbem universum flebant amarissime;
Reclamabant ad Pisanos planctu miserabili,
Concitabant Genuenses fletu lacrymabili.

I Pisani e i Genovesi mettono insieme in tre mesi mille navi, e muovono contro il terribile nemico. I cristiani si apparecchiano al combattimento colla preghiera e coll' eucarestia: l'arcangelo Michele suona per essi la tromba, li incoraggisce san Pietro colla croce e la spada in pugno, un angelo è mandato da Dio che combatte per essi. In un momento migliaia e migliaia di pagani sono uccisi:

Occiduntur et truncantur omnes quasi pecudes;

Occiduntur mulieres, virgines et viduae,

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