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Et infantes alliduntur ut non possint vivere.

Non est domus neque via in tota Sibilia
Quae non esset rubicunda et sanie livida.

Ma una grave sventura percuote i Pisani: Ugo, il loro Vicecomite, è ucciso. Lo pongono sullo scudo, lo portano alle navi, ne imbalsamano il corpo, perchè la madre e la moglie possano in qualche modo rivederlo; poi vendicano la sua morte colla strage dei nemici, col distruggere il loro campo, i palagi, le torri, coll' uccidere i sacerdoti di Maometto, che fu un eresiarca più potente di Ario:

Mille truncant sacerdotes qui erant Machumatae,
Qui fuit heresiarca potentior Arrio.

Finalmente i Pisani gloriosi risalgono le loro navi; liberano più di cento mila prigionieri:

Quos recepit Romania jam ex longo misera,

conducono con sè un numero sterminato di Saraceni; per essi si opera un grande miracolo; ed essi donano tutte le cose preziose alla Regina del cielo:

Sed tibi, Regina coeli, stella maris inclyta,
Donant cuncta pretiosa et cuncta eximia,
Unde tua in aeternum splendebit ecclesia
Auro, gemmis et margaritis et palliis splendida.

Questo canto, di cui io non ho dato che un sunto brevissimo, è certo meno popolare di alcuni

di quelli, di cui ho parlato prima; ma popolare è pur sempre, tanto per il ritmo, come per la lingua e per il contenuto. Esso si avvicina certo molto più all'arte volgare, di quello che non tenga dell' antica latinità.

Al genere medesimo appartengono i canti per la vittoria dei Parmigiani del 1247, quartine monoritmiche, di versi endecasillabi. 1

La gioja del trionfo e l'ira contro i nemici vi sono espressi con forza: è il grido dei guelfi contro Federigo vinto; è l'inno della vittoria fabbricato da un chierico, per essere inteso dal popolo. Intendo con questo di dire che certi giochetti di pensiero e di parola non mancano; 2 ma che insieme ci è vigore, ci è sentimento di sdegno, ci è un insieme di forma e di concetto che ne fanno una delle nostre poesie storiche più notabili.

Comincia, direi, grandiosamente:

Vexillum victoriae Parma ferens gaude!
Ad onorem Domini jubilans applaude,
Per tuam victoriam hostis victa fraude.
Unde canta canticum hoc in Dei laude.

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1 Vedi Albert von Beham und Regesten Papst Innocenz IV, herausg. vọn D. C. Höfler, Stuttgart, 1847, pag. 123 segg. Non ho potuto vedere un'edizione di questi canti fatta a Parma dall'egregio signor Barbieri.

Questi, per esempio:

L. pro R. in medio literam mutando
Palmae nomen obtines aere triumphando....

Bonorum Bononia bona nacione

Laetetur laetantium laeta concione.

Inveisce contro Federigo:

Confusus est impius, Deus eum sprevit,
Honoris de titulo ipsum et delevit,
Quia nimis faecibus in suis quievit,
Nec unquam in melius mutari decrevit.
Impius a facie fugit subsequentibus,
Relictis amasiis subsequendo lentis,

De quo plus turbatus est status suae mentis,
Quam de gente perdita vel auri talentis.

Ad maius obbrobrium hostis et fautorum
Non solum devicti sunt per manus virorum,
Sed per mulierculas et ictus colorum

Distracti et capti sunt plurimi eorum.

E più fieramente grida contro gli alleati dell'Imperatore:

Vae vae! Christi Babylon, civitas Papie,
Ad ruinam quoniam tibi patent vie,
Ab illa qua' victus est Fridericus die
Per Parmam auxilio virginis Marie.

O Pisani perfidi, socii Pilati,
Vos fecistis iterum Crucifixum pati,
Sed surrexit Dominus nostrae libertati,
Iam suae apparuit Parmae civitati.

E come il canto guelfo, non manca nemmeno il canto dei Ghibellini, nello stesso identico metro: satirico e storico al tempo stesso. Intendo il famoso Ritmo, attribuito a Pier delle Vigne, bollente, invero, di sdegno, quasi direi riboccante di veleno, e destinato senza alcun dubbio al popolo: mezzo di guerra adoperato, o dal grande

Cancelliere o da un altro ghibellino, contro Gregorio IX e tutto il partito guelfo.

Di satire contro il clero noi vedremo in seguito molti esempi. Ma questa, più che satira, è una fiera invettiva politica, in un latino volgarissimo, e specialmente contro i Frati Predicatori ed i Frati Minori, questi due eserciti che tanto contribuirono alla funesta vittoria del papato contro la casa Sveva. Lo scrittore è certo un incredulo, è un uomo che odia, e che vorrebbe colle parole stritolare i suoi nemici:

Advocati, medici et procuratores
Tutores et judices sunt et curatores,
Voluntatis ultimae sunt ordinatores,
Fidecommissarii 'et executores.

Cunctorum contractuum sunt mediatores,
Defensores criminum et palliatores;
Si dentur enxennia, sunt adulatores,
Si cessant servitia, sunt attentatores.
Ergo mimi merito vel joculatores
Dici possunt, saeculi vel baratatores,
Aliorum ordinum fiunt contemptores,
Nam se credunt aliis excellentiores.

Per fora, per nundinas atque per plateas
Discurrunt, per cameras nec vitant coreas,
Et si fiunt nuptiae, mox vadunt ad eas,
Quod non credo doceat Baruch vel Michaeas.
Cumque per provincias sunt inquisitores,
Malos beatificant, damnant meliores,
Et qui cibos praeparant eis latiores
Sunt inter caeteros laude digniores.

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La poesia è molto lunga; ma io mi contento di questo brano che mi pare basti a dare una sufficiente idea di tutta la composizione.

Ed ora, dall'insieme di questi canti storici ritraesi che tutti gli avvenimenti che commossero il popolo, la battaglia di Vittoria, come la morte di Lanfranco; la distruzione di Aquileia come la morte di Carlomagno; le Crociate, come la morte di Guglielmo il Buono, tutto serviva di tema al canto nazionale.

E questo è segno certo della vita morale e politica delle popolazioni italiane; segno che esse colla immaginazione e col sentimento prendevano parte ai grandi fatti della patria.

Però, cosa molto notabile; tutti codesti canti sono in latino. Anche quando nel xi secolo il volgare italiano ha già servito a composizioni letterarie, si seguita a scrivere il volgare latino, ed in un lavoro, come quello attribuito a Pier delle Vigne, che doveva essere destinato a molti, che si doveva scrivere con desiderio che penetrasse largamente nel popolo. È facile intendere di quanta importanza sia il rilevare questo fatto, per la storia delle nostre origini letterarie, poichè esso ci attesta che il volgare latino continuò ad essere inteso fin' oltre al secolo XIII dal più degl' Italiani;

1 Nella cronaca di Riccardo di San Germano. Fu ripubblicato poi dal Galvani con correzioni. Ved. nel mio libro I primi due secoli della letter. italiana, pag. 39.

2 Cfr. Fauriel, Dante ecc., pag. 347.

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