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e che esso fu l'ostacolo che si frappose al pieno trionfo della lingua parlata; ossia al passaggio della lingua dell' uso a lingua letteraria. Verrà il momento, nel quale dovremo fermarci su questo, che ora accenniamo appena di volo.

BARTOLI.St. della Letterat. Ital. Vol. I.

CAPITOLO III

LE MORALISATIONES

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Uno dei prodotti letterarii più caratteristici dell' età di mezzo, che esce direttamente dalle viscere del misticismo, sono le Moralisationes, ossia le opere moralizzate. Vediamone, prima di tutto, l'origine.

È noto che il paganesimo non si lasciò abbattere d'un giorno, ma oppose anzi resistenza viva alle nuove dottrine. Le poetiche divinità della Grecia e di Roma cacciate dalle città, si rifugiarono nei pagi, ebbero culto ed amore sotto l'umile focolare delle ville: Venere durò fino al v secolo ad essere adorata nei boschi sacri della Campania. Facessero pure ogni sforzo i cristiani ad abbattere le statue e i monumenti, saccheggiassero i templi, profanassero le tombe, la lotta che si

1 Cfr. Gregorovius, Stor. Rom., I, 75 segg.

agita intorno alla statua della Vittoria, le generose parole di Simmaco, sono, tra mille, un segno che alla fine del secolo quarto duravano ancora tenaci e profondi i sentimenti pagani.1

E quando pure codesto fenomeno religioso sarà sparito dalla coscienza, esso durerà nella storia, dove nulla si cancella; ed entrando nella corrente dell'evoluzione dello spirito umano, porterà a tempo opportuno i suoi benefici frutti.

Il cristianesimo non potendo cancellare dalla storia quel mondo pagano che trovava innanzi e di fronte a sè, tentò di appropriarselo in mille modi; e, tra gli altri, considerandolo come prenunziamento, come figura, come immagine dell'èra novella.

Da questo concetto ebbe origine il simbolismo cristiano, che penetrò del pari nell'arte, nella natura e nel mondo morale.

Nessuno ignora, dice Raoul-Rochette, quale e quanto uso facesse il cristianesimo del linguaggio simbolico, specialmente alle origini. La fede dei cristiani non si espresse da principio che in questa lingua convenzionale, che era può dirsi la lingua universale dell'Oriente. Essi, ad imitazione del loro maestro, il quale non parlava che per via di parabole, si studiavano di manifestare o di nascondere le loro idee, sotto il velo di allegorie,

1 Cfr. Gregorovius, Stor. Rom., 1, 75 segg.

2 Mémoires sur les antiquités Chrétiennes, 2a p., pag. 33 segg.

il cui senso mistico non era conosciuto che dagli adepti. Le idee più astratte come le più popolari erano espresse per simboli, de' quali la maggior parte tratta dal paganesimo: col Pavone, l'uccello sacro a Giunone, usato nei monumenti romani relativi all' apoteosi, si espresse ne' monumenti cristiani l'immortalità dell' anima; colla Fenice la resurrezione de' morti; nelle catacombe di San Callisto è dipinto Orfeo che suona la lira come immagine di Cristo che colla dolcezza della parola attrae a sè tutti i cuori; in altro luogo è un Ganimede e un ratto di Proserpina che simboleggiano la morte prematura. Partendo dallo stesso concetto si riavvicinò l'età saturnia all'Eden, Deucalione a Noè, Euridice a Lot, i viaggi di Enea a quelli di Mosè; Cecrope ad Abele, Aiace a Giacobbe, Troia all'Egitto.

Così pure i fatti dell'antico Testamento furono tratti a significare quelli del nuovo: Adamo è simbolo del Cristo; la creazione del primo uomo è figura dell' incarnazione; la moltiplicazione de'pani e dei pesci è l'immagine dell'eucarestia. E procedendo, tutto si avvolse in linguaggio simbolico: una nave esprimeva la Chiesa; un pellicano che si squarcia il petto, è il Salvatore; una tempesta vi raffigura il demonio. Potrei citare numerosi passi di San Clemente, di Origene, di Sant'Ambrogio, dai quali apparirebbe a quali stravaganze si giunse per amore dell' allegoria. Ambrogio, per esempio, dice che il paradiso terrestre è l'anima feconda,

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