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How dull! to hear the voice of those

Whom rank or chance, whom wealth or power,
Have made, though neither friends nor foes,
Associates of the festive hour.

Give me again a faithful few,

In years and feelings still the same,
And I will fly the midnight crew,
Where boisterous joy is but a name.

Ah, joyous season! when the mind.
Dares all things boldly but to lie;
When thought ere spoke is unconfined,
And sparkles in the placid eye.
Not so in Man's maturer years,
When Man himself is but a tool;

When interest sways our hopes and fears,
And all must love and hate by rule.

This life is not worth a potato.

**

The best of life is but intoxication.

PERCY BYSSHE SHELLEY

Molti sono i poeti che, anche ad ignorarne la biografia, possono spassionatamente giudicarsi, ed ammirarsi per quello che in realtà meritano. Ma Shelley corre il rischio o dí non essere compreso, o, peggio, di venir frainteso, se il lettore, prima d'aprire il volume dei carmi di lui non ha cura, ed assidua onesta cura, di conoscere da vicino l'uomo. In generale, l'esatta conoscenza della vita e del carattere d'un poeta si palesa indispensabile sempre che si tratta d'un poeta lirico. In fondo, un poeta lirico non fa che parlare di sè stesso, mette in evidenza soltanto sè stesso, non sa uscire fuori di sè stesso;

e per poco egli non sia un' anima veramente eletta, uno spirito superiore, una individualità e personalità di primissimo ordine, riesce intollerabile e quasi ci offende col suo egoismo. Shelley è il prototipo dei poeti lirici, e se prima non impariamo ad amarlo come uomo, è impossibile che l'amiamo come poeta, anzi è quasi inevitabile che quel suo esaltato sentimento umanitario, quelle sue continue descrizioni delle bellezze della natura, quel suo perenne tonare contro ogni forma di tirannide, quel suo infiammato profetico ottimismo vago e paradossale, abbiano a sembrarci stucchevoli esercitazioni di retorica, declamazioni inani e noiose, aberrazioni d'un cervello squilibrato, incapace ad afferrare la realtà dei fatti e sempre vagante nell'indeterminato e vaporoso.

Quando invece sappiamo, sulla bas edi testimonianze incontrovertibili, che Shelley fu realmente un uomo straordinario, il vero e più genuino tipo dell'artista sincero fino alla punta delle unghie, un individuo quasi demoniaco per il fascino magnetico che esercitava su quanti lo avvicinavano, per le sue allucinazioni chiaroveggenti, pel suo coraggio fisico e morale confinante con l'eroismo, ed insomma, uno spirito di titano, entro virginee forme (1), noi allora con pazienza, rispetto e venerazione studieremo tutta la sua produzione poetica, anche la parte destinata a non diventar mai popolare che impone al lettore uno sforzo d'attenzione e di comprensione a volte penoso e poco remunerante.

Già le sole eccentricità dello Shelley, confermanti che il genio s'avvicina alla pazzia, basterebbero a rivelarci la sua grandezza. Non era soltanto un sonnambulo, ma poteva sprofondarsi in meditazioni che diventavano vere e proprie estasi. Il pericolo non esisteva, anzi aveva per lui un fascino irresistibile; e se le onde del mare lo inghiottirono, spezzando tragicamente il filo d'una vita che chissà quanti altri tesori spirituali avrebbe largito al mondo, bisogna credere che esse vollero vendicarsi del temerario provocatore che ripetutamente le aveva sfidate. Era pericoloso star vicino a lui quando era intento a maneggiare armi da fuoco. Da ragazzo provava piacere a sdraiarsi sul tappeto ed esporre il capo all'ardore delle

(1) È strano che queste parole del Carducci (v. Poesie, Presso l'Urna di Percy Bysshe Shelley) sieno attribuite al Leopardi da C. H. Herford nel saggio su Shelley (v. The Cambridge History of English Literature, vol. XII, pag. 57 sgg.). Si tratta d'una svista?

Letture Inglesi.

Vol. III.

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fiamme del camino, ed a ventisette anni scrisse i Cenci sopra un terrazzo della Villa Valsovano a Livorno mentre i raggi cocenti del sole gli saettavano la testa scoperta. Se c'era da tagliare del legno e lo strumento adatto alla bisogna non era a portata di mano, Shelley non esitava a valersi del più fino dei suoi rasoi, poco curandosi di renderlo per sempre inservibile. Analogamente, un libro prezioso diventava, occorrendo, base d'una lampada o d'un lambicco. Quasi tutto il giorno leggeva, ed anche camminando per le strade non staccava gli occhi dal libro.

In tutte le città nelle quali soggiornò, e furono moltissime perchè a lungo nello stesso luogo non gli riuscì mai dimorare, soleva comprare una gran quantità di libri che poi abbandonava al loro destino quando in fretta e furia andava a piantar le tende altrove. Il suo amico Hogg ha lasciato scritto che si sarebbe potuto formare una bella biblioteca coi volumi dimenticati o abbandonati da Shelley e dispersi in tre reami. Soffriva frequentemente di allucinazioni. A Chesnut Cottage, Shelley, allora diciannovenne, assicurò che era stato assalito da un ladro. Un anno dopo, mentre si trovava a Tanyrallt, un altro assassino, a detta di lui, avrebbe cercato di ammazzarlo. È quasi inutile aggiungere che nè del primo ne del secondo furfante si trovò mai traccia, essendo entrambi fantasmi della sua mente esaltata. Nel 1816, verso la mezzanotte del 18 luglio, il poeta, mentre Byron recitava alcuni versi in mezzo ad un circolo di amici a Ginevra, d'un tratto sussultò, emise un grido acuto, e prese precipitosamente la via dell'uscio: una donna gli era apparsa che aveva al posto dei capezzoli due occhi. Pochi mesi prima di morire Shelley dichiarò di aver veduto sorgere dal mare la defunta figlia naturale di Lord Byron, la piccola Allegra, in atto di batter le mani, ridere, e fargli cenno di raggiungerla.

Si potrebbero agevolmente allegare molti altri episodi che testimoniano dell'estrema eccitabilità nervosa del poeta e della sua singolarissima indole. Uno dei suoi biografi più accurati ed intelligenti scrive (1): « in nessun periodo della vita egli potè dirsi del tutto scevro di visioni aventi la realtà stessa dei fatti. A volte gli apparivano nel sonno e si prolungavano penosamente vivide negli istanti del suo risveglio. A volte

(1) Shelley by John Addington Symonds, London: Macmillan and CO., 1914, pag. 91.

erano il prodotto delle sue intense meditazioni, ovvero gli si presentavano come proiezione d'una potente impressione interna. Tutte le sue sensazioni erano acute al di là del normale, e la sua fantasia perennemente attiva confondeva i limiti di ciò che era realtà e di ciò che era visione. Una indole cosiffatta, per la sua suscettibilità di gran lunga superiore a quella comune perfino ai temperamenti artistici, gli precludeva, negli istanti di massima tensione emotiva, di osservare le distinzioni ordinarie fra soggetto ed oggetto ».

Un carattere così straordinario, e quasi patologico, può avere tutti i difetti, tranne quello dell' affettazione retorica e della insincerità. Shelley può a volte sembrar pazzo in alcuni suoi versi incoerenti e in certe sue inafferrabili visioni poetiche, ma è sempre sincero, ubbidisce sempre ad una inspirazione potente, anzi prepotente, e la sua poesia è quella d'un vate invasato.

Percy Bysshe Shelley nacque il 4 agosto 1792 a Field Place, non lontano da Horsham, nella contea del Sussex, da Timothy Shelley ed Elizabeth Pilfold. Gli fu dato il secondo nome di Bysshe in onore del nonno paterno che ebbe principalmente il merito d' accumulare ricchezze ed acquistare al casato un titolo nobiliare. Il padre Timothy, non brillò nè per ingegno, nè per abilità pratica. Era un uomo mediocre, geloso custode d'ogni convenzione sociale, tenero soprattutto del quieto vivere e dell' osservanza delle forme esterne, ma non meritevole certo dell'odio e del disprezzo che di buon'ora il figlio Percy nutri per lui cordialmente. La madre, Elizabeth, fu donna ornata di rara bellezza e vivacità d'ingegno, ma non pare abbia mai avuto una parte preponderante nell'educazione del poeta o un grande influsso sull'animo di lui. Delle relazioni tra padre e figlio si parla di continuo nelle biografie dello Shelley, ma quasi si sorvola su quelle tra madre e figlio. Evidentemente Elizabeth, sorto il conflitto fra Timothy e il figlio Percy, non intervenne, e, se mai, si schierò dalla parte del consorte. Di quattro sorelle ed un fratello il nostro poeta fu il primogenito. A dieci anni, e cioè nel 1802, fu mandato a scuola. Sion House, Eton e l'University College di Oxford ebbero successivamente l'onore d'ospitarlo. Imparò con grande facilità il Greco ed il Latino, s'infiammò d'entusiasmo per i misteri della Fisica e specialmente della Chimica, ebbe un invincibile aborrimento per la Storia, che soleva chiamare l'archivio dei delitti e delle miserie, e fu negato alle Matema.

tiche ed alla Giurisprudenza. Alto, slanciato, con una abbondante chioma nera increspata e con occhi cerulei vivacissimi e penetranti che spiccavano in un volto virgineo, era bello. in sommo grado. Amante della solitudine, spesso trasognato, disdegnava di prendere parte ai giuochi dei condiscepoli che lo consideravano perciò uno stravagante insociabile, e preferiva studiare per conto suo e quel che più gli talentava anzi che attendere ai compiti di scuola e seguire la falsariga del maestro. Assai presto Shelley, e nella casa paterna e nella scuola, scopri le menzogne, le ipocrisie e le ingiustizie sociali, e dichiarò loro guerra con la veemenza e la tenacia di un eroe. Assai di frequente accade che tra i sedici e i vent'anni i giovani s'infiammino e s'infatuino di qualche ideale strampalato. Tra i nostri studenti tutti i partiti sono cospicuamente rappresentati, ed è un vero spasso sentire come discutono e con quale intemperanza. Segnatamente i donchisciotti della repubblica sociale e di altre forme di reggimento filantropico, sogliono essere i più convinti, tenaci e intolleranti. Come è quasi impossibile scampare a certe malattie appena si è raggiunta l'età in cui quelle di solito si manifestano, così pure è quasi fatale che un giovane tra i sedici e i vent'anni sia assalito dalla febbre di riformare il mondo, dalla beata illusione d'aver trovato la panacea d'ogni male sociale, insomma dalla mania teorica. E come in alcuni individui la malattia prende forme più gravi, così pure in alcuni giovani la mania teorica assume proporzioni allarmanti in quanto li distoglie dagli studi seri, li sospinge nel campo dell'azione, in mezzo ad avventurieri e farabutti, e d'errore in errore, novantanove volte su cento, li rovina. Come va curato il male, e a qual partito dovrà un povero genitore appigliarsi il quale veda il figlio in pericolo? Lasciare che i bollenti spiriti sbolliscano a poco a poco col tempo ed evitare di prendere il giovane di punta, pare sia il sistema curativo più prudente ed efficace. Reprimere con la violenza e la persecuzione significa gettar legna nel fuoco, creare il martire, alimentare lo scandalo. Fu questo appunto l'errore non solo del padre ma dei precettori di Shelley: presero troppo sul serio le idee rivoluzionarie del giovane, credettero di poterle soffocare con le punizioni, e provocarono invece l'esplosione d'una resistenza accanita e d'un eroico furore. Vero è che Percy aveva spinto le cose al punto che non era agevole fingere d'ignorare e passar sotto silenzio. L'esaltato giovinetto non contento d'essersi fatto chiamare l'ateo

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