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cuni (1) palazzo dei principi musulmani; e secondo altri (2) palazzo un tempo della famiglia Chiaramonte, da cui venne costruito sin dal 1307 e poi per la rivolta contro re Martino fatta da uno di quella famiglia, cui fu in esso piano troncato il capo, confiscato dal re, che per sè lo scelse, solo assegnandone alcune stanze pei tribunali; ma trasferiti questi l'anno 1598 nel r. palazzo fu quello due anni dopo destinato pel tribunale della inquisizione, finchè ritornaronvi nel 1799 altra volta i tribunali, e tutt'oggi vi durano.

All'antico vedesi aggiunto dal sinistro lato un braccio di moderna fabbrica, dal portone della quale entrasi nel cortile, e vi si trova alla destra una maestosa scala. Sta in fondo del portone un bene architettato edificietto con istatue e bassi rilievi; ove, presente il popolo, estraggonsi nel dopo pranzo di ogni sabato i numeri del lotto. Pei due portoni poi che sono nell'antica fabbrica entrasi nella regia Dogana.

Poco lontana dai tribunali è la

Regia Zecca unica officina ora abolita accordata alla Sicilia nel 1676 per battervisi moneta; ma non collocata in questo luogo a bella posta fabbricato che nel 1699. Ha dessa una porta adorna di due colonne e di due marmorei puttini, che due scudi sostengono, ove scolpite sono le arme del vicerè duca Veraguas e della città; ed evvi nel centro un'aquila di marmo anch'essa collo stemma regale nel petto ed una iscrizione. Fiancheggiato è il piano nobile da due terrazzi scoperti con balaustrate, ove sei ignobili statue di pietra sonvi, che sei antichi re o legislatori figurano.

Dalla parte opposta poi del piano che corrisponde sul Cassaro è l'edificietto detto

GRAN GUARDIA, che così si chiama perchè ivi stava il corpo di guardia, ora assegnato a posto di polizia.

Prendendo la via che viene rimpetto al portone della dogana e scorrendone buon tratto s'incontra il piccolo

TEATRO S. FERDINANDO teatro nazionale composto di quattr' ordini di palchi, con un orologio nella chiave dell'arco del palco scenico.

(1) Morso loc. cit. pag. 260.
(2) Fazello loc. cit. pag. 331.

In punta di questa via è sulla dritta la

CHIESA E CONVENTO DI S. FRANCESCO DI ASSISI dei minori conventuali. I frati di questo istituto, che come credesi vennero in Sicilia ancor vivente il lor patriarca, dopo varie traversie loro accadute qui fabbricarono la loro chiesa, che col progresso dei tempi venne ingrandita. All'occidente ne è rivolta la facciata, e la porta maggiore è di pietre d'intaglio d'antico lavoro arabico con otto marmoree colonne, in una delle quali sono scolpite due iscrizioni in arabico; ciò che ha fatto sospettare ivi essere stato un qualche edificio o moschea dei Saracini, convertita poscia dai Normanni in tempio cristiano (1). In tre navi divisa è la chiesa, e avvi in ogni pilastro una statua di stucco lavoro di Paolo Serpotta.

Un famoso quadro dell'angelo Custode che guida l'anima pittura di Domenico Zampieri detto il Domenichini eravi nella terza cappella; ma trasportato questo nel 1797 in Napoli alla quadreria del re (2), vi fu sostituita un'esatta copia eseguita da Giuseppe Velasques. Ragguardevole inoltre pei suoi ornati è la cappella senatoria; e il quadrone che vi ha della Vergine Immacolata, a musaico lavorato in Roma_nel 1772, Costo cinquemila scudi.

Al ss. Crocifisso è dedicata la terza cappella, ei due bassi rilievi di marmo bianco alle pareti laterali sono lavoro d'Ignazio Marabitti palermitano, rappresentante uno la flagellazione, e l'altro il viaggio al

Calvario.

Dalla chiesa passando nel convento, esso è vasto e di magnifica fabbrica, con regia scala e dormitoi maestosi.

È nella antesagrestia in fine osservabile, una eccellente statua di s. Giorgio a cavallo, in atto di ferire un dragone, opera del nostro più celebre scultore Antonio Gagini (3).

(1) Morso loc. cit. pag. 25g.

(2) Real Musco Borbonico, vol. 1, tavola xxxш, pag. 3.

(3) Antonio Gagini nacque in Palermo verso il 1480, fu in Messina ; studiò in Roma nella scuola di Raffaello, e così migliorò le forme e le ridusse alla perfetta eleganza, acquistando quella espressiva e nobile aria di teste del divino Urbinate. S'introdusse del pari nello studio di Michelangelo e imparò da lui il magistero dello scarpello. Ritornò in patria ed ebbe meritata rinomanza di celebre sculture. Ebbe tre figli Vincenzo, Giacomo e Fazio. Egli fu superiore al Montorsoli, al Bandinelli, all'Ammannato, nè solo riusci nelle figure di tutto tondo, ma parimente nei bassi rilievi e nel buon gusto de' rabbeschi a segno che lo stesso Michelangelo volle adoprare il di lui scarpello negli ornati del famoso sepolcro di Giulio secondo in Roma. Mori in Palerino d'anni 91 a 17 novembre 1571. Vedine l'elaborato elogio scrittone dal ch. Agostino Gallo.

Poco da questa chiesa distante è la

nel cap

COMPAGNIA DI S. FRANCESCO nella chiesa di s. Lorenzo pellone della quale il quadro è una eccellente opera di Michelangelo da Caravaggio, in Palermo stesso dipinta: e in questa compagnia di pregio sono i sedili all'intorno; perchè di ebano intarsiati d'avorio e di madreperla. Gli stucchi son dei più belli che abbia fatti Giacomo Serpotta.

Nella volta del camerone in fine è a fresco dipinto Giacobbe che dà la benedizione ai figli, opera da tutti stimata per una delle migliori del Borromans.

Scendendo per la via rimpetto alla porta maggiore della chiesa di san Francesco; e volgendo sulla sinistra, può proseguirsi il cammino sino che si giunga alla

CHIESA DI S. CARLO, cenobio benedettino (1). Ellittica ne è la fi gura, e composto l'ordine dell'architettura; nella cappella seconda del lato sinistro il quadro della B. Vergine col Bambino, di s. Benedetto, e di s. Luigi re è pittura del Novelli (2).

Sboccasi appresso nella Piazza della fieravecchia dalla quale entrando nella via che a sinistra si scorge, sulla manca si vede il Palazzo dei principi di Paternò fabbricato nel 1485.

Al finire di questo magnifico palazzo è una via, che conduce alla CHIESA E COMMENDA DELLA MAGIONE Sotto titolo della ss. Trinità, la cui casa fu fondata circa il 1450, e dal fondatore Matteo Ajello di Salerno gran cancelliere di Guglielmo I ai monaci cisterziensi donata; indi dall'imperatore Enrico VI nel 1193 concessa ai Teutonici; ed allora pigliò nome di Magione (3), ma nel 1787 fu aggregata all'ordine constantiniano di san Giorgio. Al cortile che sta avanti la chiesa dà l'ingresso una nobile porta ornata di due colonne di marmo bigio, e sopra alzanvisi in marmo le statue della fede e della speranza; ed evvi avanti le tre porte nella facciata della chiesa un moderno portico di ordine greco-sicolo. Gotica è l'architettura della chiesa, e un simulacro vi ha della Madonna della Pietà che è opera

(1) Fu questa chiesa aperta nel 1616, e nel 1633 ottennerla i Benedettini.

(2) La testa deila madonna e quella del bambino col fondo sono pessimamente ristorate. (3) Fazello loc. cit. pag. 342.

MORTILLARO vol. II.

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di Vincenzo Gagini. Come pure un bel quadro di s. Cecilia di Marchese. Fu questa chiesa ridotta a collegiata e i suoi componenti vestono insegne canonicali. È in questa chiesa pregevolissimo quadro del nostro cav. Giuseppe Patania (1) rappresentante la flagellazione di Gesù Cristo, quadro ottimamente composto, correttamente disegnato, vagamente dipinto, e di sublime espressione nella testa del Cristo che soffre nobilmente per amor del genere umano.

Ritornando per la via stessa e volgendoci a sinistra trovasi

PORTA DI TERMINI, così detta forse perchè rivolta verso la città di Termini. Essa ha molto dell'antica costruzione, e fu nel 1328 da Federico II ristorata e rinnovata ai tempi del Fazello (2).

Alla sinistra di questa porta è la nobile compagnia della Pace, il cui oratorio è assai ragguardevole; e alla dritta il Monte di s. Venera che a quella compagnia appartiene, e che è destinato alla pignorazione dei panni.

Presso questo Monte è il convento e la

CHIESA DEI PP. DI MONTE SANTO, nella quale ammirasi un bel quadro ad olio rappresentante s. Maria Maddalena dei Pazzi, opera del Novelli.

Ritornando nella piazza della Fieravecchia, ed entrando per uno

(1) Il cav. Giuseppe Patania nacque in Palermo nel gennajo del 1780. Fu introdotto nello studio del chiarissimo pittore Giuseppe Velasquez palermitano, ove si esercitò per lo spazio di anni due circa con felicissimo successo a disegnar di figura; ma mostrando forse intempestiva brama a voler copiare in colori un bozzetto del maestro, fu da costui minacciato in aspri modi, onde si allontano dalla sua scuola, e cominciò con istraordinario coraggio a dipinger da se i cartelloni da teatro, e piccoli quadretti ad olio di sua invenzione.

Frequentò bensì lo studio della pubblica accademia del nudo, diretta dallo stesso Velasquez, e si formò valoroso disegnatore. Reduce intanto da Roma in Palermo Vincenzo Riolo si fe' seguace del nuovo stile, e della magia dei colori dello stesso, e dopo breve tempo da scolare divenne rivalo del Velasquez e del Riolo, e più volte fu messo in emulazione con essi per varii quadri d'ordine della real Corte, e di particolari non senza suo speciale onore. D'allora ha sempre progredito nell'arte, talchè di lui puossi dire che l'ultima sua tela è migliore della precedente. Egli è felicissimo nell'invenzione pittorica, come ne danno argomento i suoi moltissimi schizzi a penna sulla Mitologia, sul Telemaco, su Dante, e sull'Istoria di Sicilia.

Il suo disegno è ormai ridotto alla maggiore eleganza, e correzione. Armonioso, e direi fuso è il suo colorito, e l'effetto oltre ogni dire vero, ed aggradevole. Di una grazia singolare è nei putti, e nei volti delle donne. Riesce ancora nel paesaggio, e nella pittura di gencre, e si è distinto particolarmente come pittore di storia, e ne' ritratti per la massima verità, e somiglianza, incontrastabilmente è riconosciuto come il primo pittore in Sicilia.

(2) Fazello dec. 1, lib. vin, pag. 187, ediz del 1560.

strettissimo vicolo, che quasi rimpetto si presenta; al finir di esso sulla sinistra evvi il

R. TEATRO DI S. CECILIA (1), il quale tuttochè non grande, pure è con molto giudizio costruito. Ha desso sessantasette palchi in quattro ordini, e una platea capace di tre centinaia di persone: ellittica ne è la figura, e semplice l'architettura. Ammirevole poi è ivi il meccanismo col quale in occasione di veglioni, in meno di un quarto d'ora al finire della rappresentazione si abbassa il palco scenico al piano della platea, e dippiù accresconsi diciotto palchi.

Camminando quindi per lo vicolo che è a destra di questo teatro, e volgendo poi alla sinistra si sale per la così detta via della Calata dei Giudici, quivi in un vicolo a destra è la Confraternità dei Pollajuoli, ove nella volta è a fresco la nascita di Gesù Cristo dipintavi dal Novelli che annunzia il fare del Domenichini; e sempre diritto proseguendo il cammino si arriva ad un piano, ove sulla manca

è il

R. TEATRO CAROLINO (2) il quale oltre alla lunetta, contiene cinque ordini di palchi ognun dei quali ne conta diciassette; e la pianta del suo circolo auditorio è esattamente circolare: è questo il primario e più frequentato teatro.

Gli sono contigui la

CHIESA E MONASTERO DELLA MARTORANA, la quale chiesa, secondo crede il Pirri fu fondata nel 1113 dall'ammiraglio Giorgio antiocheno da cui fuvvi istituita una collegiata di otto canonici. Ma il chiarissimo professore abate Salvatore Morso (3) lo ha con solide ragioni confutato, e la crede piuttosto fabbricata nel 1143; essa è magnifica ma nell'antica maniera: il monastero che poscia vi si fondò nel 1194 è sotto la regola di s. Benedetto. È la chiesa col frontispizio rivolto ad occidente, ed ha tre porte, la maggiore delle quali è dentro un cortile e sotto un piccolo portico su cui alzasi un campanile di gotica struttura, ornato di colonnette.

(1) Fabbricato nel 1692.

(2) Aperto a 12 gennaro 1809 rifatto secondo il sistema moderno dall'architetto Nicolò Puglia palermitano.

(3) Morso loc. cit pag. 90.

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