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Sopra di che fondato sembrami di potere a buon diritto smentire Ottavio Pitoni, il quale nelle notizie MS. de' contrappuntisti afferma, che il Pierluigi lasciasse il servigio del Laterano nell'anno 1556. e che nell'anno stesso gli fosse sostituito Annibale Zoilo. Questo non è punto vero. Giovanni esercitava il magistero della proto-basilica lateranense nell' Ottobre del 1558. e continuò quindi in tale uffizio fino al mese di Febbrajo del 1561. siccome fortunatamente nel 1749. il soprallegato Matteo Fornari potè osservarlo ne' libri censuali della proto-basilica non ancor malandati. Laonde il Pierluigi esercitò la carica di maestro di cappella nella sempre commendata proto-basilica lateranense dal primo giorno di Ottobre del 1555. fino ai primi di Febbrajo del 1561. vale a dire anni cinque, mesi quattro, e pochi giorni. Nel mese di Marzo poi dell'anno medesimo 1561. gli fu surrogato Annibale Zoilo, siccome vedrassi nel cap. 12. di questa prima sezione.

CAPITOLO XI.

Si additano le più famose opere musicali composte dal Pierluigi in servigio della proto-basilica lateranense: si espone il perchè non facesse imprimere alcuna sua produzione negli anni, che esercitò quivi il magistero e come avvenisse, che si stampò per altrui opera alcuna cosa di suo.

È

certo, siccome può rilevarsi da varii tratti delle sue dediche, che il Pierluigi fin dalla giovanezza applicossi interamente allo studio della composizione: cui quidem scientiae totum me a puero dedi (93). É similmente certo, che mai non lasciò trascorrere inutilmente il suo tempo, di cui fu gelosissimo conservatore, ed impiegollo instancabilmente nella produzion delle musicali sue idee: Quanam alia in re, duo illa, quae a Domino haberem temporis atque ingenii talenta, quamvis auro praestantiora insumerem (94)? Ed è in fine ancor certo, che mai non interruppe la

(93) Dedica al Pont. Gregorio XIII. del lib. 4. delle messe. (94) Dedica al Pont. Sisto V. degl' inni di tutto l'anno.

continuazion de' suoi studii, nemmen quando videsi al durissimo cimentó della scarsezza de' mezzi, onde alimentarsi colla sua famiglia; cum omnes curae musis adversariae sint, tum illae in primis, quas affert angustia rei familiaris. Sed gratias ago divinae bonitati, quod in maximis difficultatibus nunquam studium musicae intermisi; quam enim aliam haberem allevationem, homo huic facultati a puero deditus, assidue (utinam tanto cum progressu, quanto cum labore et diligentia) in ea versatus (95)? Cosicchè può di ragione affermarsi essere stata la vita di lui una continuata ed indefessa applicazione, parte esaminando le opere degl' insigni maestri, e cogliendone il più bel fiore; parte aprendo il varco alla filosofica sua fantasia, e distendendo in carta le veramente belle sue idee. Se si potessero, per mia fè, in tanta distanza di tempi consultare coloro che lo avvicinarono, io porto opinione, che ne additerebbero presso a poco quel tenor di vita, e quella rigida distribuzion di ore osservata scrupolosamente da Cajo Plinio il vecchio, giusta la relazione che ne da a Macro il giovane Plinio; il quale dovette perfino sorbirsi dallo zio un acré rimprovero per il breve sollievo, che prendevasi al passeggio, onde ricrearsi dalla continua applicazion negli studii. Repeto me correptum ab eo, cur ambularem: poteras, inquit, has horas non perdere; nam perire omne tempus arbitrabatur quod studiis non impertiretur. Hac intentione tot volumina peregit (96). E per tale assiduità appunto mai non interrotta potè il Pierluigi scrivere tanti volumi, quanti se ne vedranno da lui scritti nel decorso di questa storia.

E per parlare precisamente de' cinque anni e pochi mesi (cioè dal 1555. al 1561. siccome è stato veduto) ne' quali Giovanni esercitò l'uffizio di maestro nella proto-basilica lateranense, io son d'avviso, che ritirato in qualche casetta ne' contorni del monte Celio, lontano dallo stre

pito della città, si occupasse in una maniera singolare nello studio dell'arte, e scienza musicale. Molto dovette scrivere, ed il Laterano echeggiò sovente al plauso delle nuove produzioni del suo maestro. Fra

(95) Dedica al Pont. Sisto V. del primo libro delle lamentazioni.

(96) C. Plinii secundi epistolarum libri decem. Venetiis in aedibus Aldi, et Andreae Asulani soceri, mense Iunio 1518. lib. 3. epist. 5. pag. 68.

le opere, che senza dubbio appartengono a quest' epoca, e che conservansi inedite nell'archivio della proto-basilica, siccome composte per servigio della medesima, meritano distinta memoria un volume di lamentazioni di Geremia profeta poste in musica a quattro voci, ed un VOlume di magnificat a 5. e 6. voci. Del merito di queste due opere parlerassi altrove. Intanto giova notare che le lamentazioni sono della nuova maniera tutta propria del Pierluigi ed in cui egli rendesi inimitabile: li magnificat annunziano un'uomo profondissimo nell' arte, capace di render ragione non solo di ciascuna nota, ma per anco direi d'ogni

pausa.

La gloria maggiore però venne meritamente al Pierluigi dagl' improperii, e dall'inno Crux fidelis, che pose in musica ad 8. voci divise in due cori, e fece cantare la prima volta dai cantori della proto-basilica nel venerdì santo dell'anno 1560. Questo parto nobilissimo e nuovo per tutti i rispetti, concepito e perfezionato nei tesori della filosofica sua fantasia fece sbalordire al suo primo mostrarsi arte e 'natura. Sbalordì l'arte in vedersi superata dalla natura nella semplicità di pochi accordì che rapiscono il cuore, e lo concentrano affettuosamente alla divozione: sbalordi la natura in vedersi superata dall'arte nella squisitezza di una esecuzione non più udita, immaginata dal Pierluigi e da esso medesimo insegnata. Questo è il canto, avrebbe detto al dolce patetico di cotali improperii il canto Abbate Bernardo (97), ch' io ricercava, degno della casa dell'Altissimo, canto ripieno di gravità, che non è molle, nè rustico; ch'è soave e non lieve; che diletta le orecchie, e muove il cuore. Il Pontefice Pio IV. mosso dagli alti elogi di questa nuova musicale ecclesiastica produzione non isdegnò di farla richiedere in suo nome a Giovanni per uso della cappella apostolica; e contestò in udendola eseguire, che vinto aveva la sua espettazione. Questi sono gl' improperii, che tuttora si cantano, e si cante

(97) S. Bernardus Epist. 312. ad Guidonem Abb., et fratres Arremarrenses. Cantus, si fuerit, plenus sit gravitate, nec lasciviam resonet, nec rusticitatem; sic suavis ut non sit levis ; sic mulceat aures, ut moveat corda: tristitiam levet, iram mitiget, sensum litterae non evacuet, sed fecundet.

ranno mai sempre nella cappella apostolica; e che riscuotono ogni anno già da presso a tre secoli il tributo di qualche lagrima dai cuori sensibili, che non mancano nella numerosa udienza di personaggi distinti di quasi tutta l'Europa (98). Ma torniamo a Giovanni.

A fronte di tanto scrivere e di tanti elogi non volle il Pierluigi render pubblico in questi cinque anni con le stampe il suo nome. Ferito nel più vivo del cuore dalla rinunzia non volontaria della sua basilica vaticana, e dalla espulsione della cappella apostolica, odiava per così dire la pubblica luce, vergognavasi perfin degli elogi, che annunziandogli la presente sua situazione, rammentavangli la perdita del primo, e la caduta dal secondo degli ambiti due seggi. Odi, porto opinione che dovesse sovente ripetere con Cicerone nel suo esiglio, odi enim celebritatem, fugio homilucem aspicere vix possum (99): il mondo riseppe con le stampe il mio innalzamento, vergognomi di palesargli con le stampe le mie umiliazioni. E di fatti quantunque in progresso, rimarginata dal tempo P aspra ferita, si risolvesse di dare alla luce molte altre delle sue opere, cui avrebbe potuto apporre titoli speziosissimi, mai non gli adottò: e solo verso il fine della sua vita, dopo varii anni da che era stato richiamato al Vaticano riassunse il primo suo titolo, e stampò le ultime sue opere annunziandosi maestro di cappella della basilica vaticana.

nes,

Tanto ritegno, e tanta fermezza di Giovanni in questi cinque anni non furono sufficienti a guaren tirlo interamente dagli agguati de più intimi suoi confidenti, i quali soffrendo di mal'animo, che il mondo musicale fosse defraudato delle concepite speranze di sollevarsi una

se mede

(98) Essendomi recato pochi anni in dietro nella città di Arezzo a venerare la devota immagine di Maria Vergine, un cavalier fiorentino, che quivi trovavasi, mi riconobbe per uno dei cappellani cantori apostolici, e preso meco discorso delle funzioni della settimana santa, e segnatamente del venerdì santo, applicò a simo con entusiasmo le note parole di S. Agostino (Confession. lib. 9. n. 14., e lib. 10. n. 50. Reminiscor lacrymas, quas fudi ad cantus (apostolicae capellae) commotus acriter vocibus suave sonantibus. Voces illae influebant auribus meis, et eliquabatur veritas in cor meum, et exaestuabat inde affectus pietatis, et currebant lacrymae, et bene mihi erat cum eis.

(99) Cicerone epist. ad Attic. lib. 3. epist. 7.

VOLUME I.

9

volta dal peso de' soverchi ornamenti, e di vestirsi per opera del Pierluigi col buon gusto dell'eleganza italiana, tentavano di involargli furtivamente ciò che fosse loro venuto alle mani. L'arte però combatteva contro l'arte, l'astuzia contro la vigilanza. Fu impossibile di torgli composizione veruna sopra temi ecclesiastici. Ad un amico riuscì finalmente di carpirgli alcuni madrigali. Uno di questi era scritto in lode di una cotal giovane di bellissima voce, ed esperta nel canto:

Donna bella e gentil, che 'l nome avete

Di quel gran vincitor, che 'l mondo vinse,
Che ancor fra l'erbe e fior pres'et avvinse:
Se umana cosa sete,

Ben si può dir, che 'l ciel vi fece tale
Per far stupir in terra ogni mortale.

Ma in dubbio stommi,

Ch'omai quasi son chiaro

Al cantar dolce e raro,

Al viso, ai gesti, e a ogn'altro bel, ch'è in voi,
Ch' Angel siete dal ciel sceso fra noi (100).

Questo madrigale posto in musica a cinque voci dal Pierluigi nella sua bella maniera fu tosto spedito da Roma a Girolamo Scotto stampatore in Venezia; il quale occupandosi attualmente della seconda edizione del libro primo di madrigali a cinque voci di Alessandro Striggio ve lo inserì alla pagina trigesimasesta, e lo pubblicò da' suoi torchi l'anno 1560. intitolandolo madrigale di Giannetto da Palestrina. Gli altri madrigali involati similmente alla oculatezza del Pierluigi si rimasero ancora per alcun tempo manoscritti in Roma, e circolando fecero l'ammirazione di quanti v'eran maestri i più profondi nell'arte. Videro però ancor essi per altrui opera la pubblica luce, e se ne darà il dovuto ragguaglio sotto l'anno 1568. nel cap. XI. della sez. 2.

(100) Io non so ridir l'autore di cotai versi, non la donna a cui onore furono scritti. Chi ha maggior pratica del Parnasso italiano supplirà a questo difetto.

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