Arboreae frondis tenues imitabere ductus. Afpicis ut vena Auat e-maiore canales In minimos, frondemque liquor prorepat in omnem : Editiore loco fic grandior alveus amnem Accipit, ac rivis hinc inde minoribus undam Ditlipat, et late fitientes irrigat herbas. Sparge fimum, sublimis ubi se campus ad Au.
stros Erigit: hinc imber pluvius rivique cadentes Acclivis alimenta ferent pinguiflima terris.
S. von ihın B. II. S. 18. Sein Gedicht, La Coltis vazione, oder, der Landbau, in rechs Büchern, ist eins der geschåştesten Lehrgedichte der Jtalianer, worin er nicht nur die vom Virgil, feinem durchgängigen Nuffer, behandelten, sondern noch manche andre zum Landbau gehörige Gegen: ftånde, in einer durch. Einfachheit, Würde und Anmuth verdienftvollen Schreibart vorträgt. Das Gedicht ist in reim: Yosen Versen (versi sciolti,) die aber nicht, wie verschiedne Stunstrichter geglaubt haben, von Älamanni erfunden, fona dern von ihm nur in der Gattung des Lehrgedichts zuerst ger braucht find, da sich Trissino in seinem Heldengedichte ihrer (chon früher bedient hatte.
DELLA COLTIVAZIONE,
L. I. v. 935. f.
O, beato colui che in Pace vive, De i lieti campi suoi proprio cultore; A cui ftando lontan dall' altre genti La giustissima terra il cibo apporta, Et ficuro il suo ben li gode in feno! Se ricca compagnia non hai d'intorno Di gemme, et d'ostro; ne le cafe ornate Di legni peregrin, di statue, et d'oro; Ne le muraglie tue coperte et tinte Di pregiati color, di veste aurate Opre chiare et sottil di Perfo et d'Indo S'il letto genital di regie spoglie Et di sì bel lavor non haggia il fregio, Da far tutta arrestar la gente igniara; Se non fpegni la fete et toi la fame. Con vafi antichi; in cui dubbioso fembri Tra belleza et valor chi vada innante; Se le foglie non hai dentro et di fuore
Di chi parte, et chi vien calcate et cinte; Ne mille vani honor ti scorgi intorno; Sicuro almen nel poverello albergo; Che di legni vicin del natio boico Et di semplici pietre ivi entro accolte Thai di tua propria man fondato et strutta Con la famiglia pia t'adagi et dormi Tu non temi d'altrui forza ne inganni; Se non del lupo, et la tua guardia e il cane Il cui fede l'amor non cede à prezzo. Qual'hor ti fvegli all' apparir dell' Alba Non truovi fuor chi le novelle apporte Di mille ai tuoi defir contrari effetti, Ne camminando, o stando à te coviene All' altrui latisfar piu ch'al tuo core. Hor fopra il verde prato, hor sotto il bosco Hor nell'herbofo colle, hor lungo il rio. Hor lento, hor ratto à tuo di porto vai. Hor la scure, hor l'aratro, hor falce, hor marra Hor quinci, hor quindi, ov'il bisognio fprona Quando è il tempo miglior foletto adopri. L'offeso vulgo non ti grida intorno Che derelitte in te dormin le leggi Come a pull' altra par dolcezza reca Dall'arbor proprio, et da te fteffo inserto Tra la casta conforté e'i chari figli Quasi in ogni stagion goderse i frutti! Poi darne a suo vicin; contando d'essi La natura, il valor, la patria, e'l nome, Et del suo coltivar la gloria, et l'arte Giungendo al vero honor piu larga lode! İndi menar talhor nel cavo albergo Del pretioso vin l'eletto amico, Divisar de i fapor, monstrando come I'uno ha graslo il terren, l'altro hebbe pioggia Et di quelto, et di quel, di tempo, in tempo Ogni cosa narrar che torni in mente! Quinci mostrar le pecorelle, 'e'i buoi, Mostrargli il fido can, mostrar le vacche Et mostrar la ragio che d'anno in anno,
Alamanni. Han doppiato piu volte i figli e'l latte!
Poi menarlo ove stan le biade e'i grani,
In vari monticei posti in difparte, . Et la sposa fedel; ch’ancho ella vuole
Monstrar ch'indarno mai non palle il tempo Lietamente à veder d'intorno il mena La lana, il lin, le sue galline, et l'uova Che di donnefco oprar fon frutti et lode! Et, di poi ritrovar motando in alto La mensa inculta di vivande piena Semplici et vaghe, le cipolle, et l'herba Del suo fresco giardin, l'agniel ch'il giorno. Havea tratto il pastor di bocca al lupo, Che mangiato gli havea la testa e'l fianco! Ivi senza temer cicuta et tosco Di chi cerchi il tuo regnio, o'l tuo thesoro Cacciar la fame; senza affanno et cura D'altro che di dormir la notte intera, Et trovarsi al lavor nel nuovo sole! Ma qual paese è quello: ove hoggi posla Glorioso FRANCESco in questa guisa Il rustico cultor goderle in pace L'alte fatiche sue ficuro, et lieto? Non già il bel nido, ond'io mi sto lontano, Non già l'Italia mia, che poi che lunge Hebbe altissimo Re le vostre inlegnie; Altro non hebbe mai che pianto et guerra. I colti campi suoi son fatti boschi, Son fatti albergo di felvagge fere, Lasciati in abbandono à gente iniqua; Il bifolco, e'l pastor non puote à pena In mezzo alle città viver ficuro Nel grembo al suo Signior; che de lui stello Che'l devria vendicar, divien rapina. Il vomero, il marron, la falce adonca Han cangiate le forme, et fatte fono Impie spade taglienti, et lance agute Per bagniar'il terren di sangue pio. Fuggaii lunge homai dal seggio antico L'Italico villan, trapasse l'Alpi,
Truove il Gallico fen, ficuro pofi. Sotto l'ali Signior del vostro impero Et se qui non havrà (come hebbe altrove) Cofi tepido il sol, si chiaro il cielo; Se non vedrà quei verdi colli Thoschi Ove ha il nido piu bel Palla et Pomona Se non vedrà quei cetri, lauri et mirti Che del Parthenopeo vestan le piagge; Se del Benaco et di mill'altri insieme Non saprà qui trovar le rive, et l'onde Se non l'ombra, gli odor, gli scogli ameni Che'l bel Liguro'mar circonda et bagnia ; Se non l'ampie pianure, e'i verdi prati Che'l Po, l'Adda, e'l Thesin rigando in fiora Qui vedrà le campagnie aperte, ct liete Che senza fine haver vincon lo sguardo; Ove il buono arator fi degnia à pena Di partir'il vicin con foffa, o pietra; Vedrà i colli gentil sì dolci et vaghi; E'n fi leggiardro andar, tra lor disgiunti Da fi chiari ruscei, sì ombrose valli Che farieno arrestar chi piu s'affretta, Quante belle sacrate selve opache Vedrà in mezzo d'un pian tutte ricinte Non da crude montagnie, o, fasli alpestri Ma da bei campi dolci, et piagge apriche! La ghiandifera quercia, il cerro, et l'eschio Con sì raro vigor fi leva in alto Ch'ei mostran minacciar co i rami il cielo Ben partiti tra lor; ch'ogni huom direbbe. Dal piu dotto cultor nodrite et pofte Per compir quanto bel fi truove in terra Ivi il buon cacciator sicuro vada Ne di sterpo, o, di falso incontro tema Che gli squarce la veste, o ferre il corso Qui dirà poi con maraviglia forse, Ch’al suo charo liquor tal gratia infonde Bacco, Lesbo obliondo, Creta, et Rhodo, Che l'antico Falerno invidia n'haggia, Quanti chiari, benigni, amici fiumi
![[ocr errors]](https://books.google.com.eg/books/content?id=bs0TAAAAYAAJ&hl=ar&output=html_text&pg=PA77&img=1&zoom=3&q=editions:UOM39015058694616&cds=1&sig=ACfU3U0lD1pNCJV8-MXPXIOoNiW8j8RfqA&edge=0&edge=stretch&ci=48,1180,7,15)
« السابقةمتابعة » |