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bianza atti d'autorità, che avrebbero dovuto svegliare a gelosia la corte di Napoli, s'ella fosse stata in tali condizioni da potersi risentir delle usurpazioni de' suoi alleati, quando le ne tornava comodo immediato.1 S'ag giunse a questo la riputazione de' capitani; poichè suonava insieme col nome di Loria quel di Giacomo, principe non caro all' universale in Sicilia, ma intimo con parecchi baroni, riverito da molti per consuetudine a obbedirlo, e ridottato da' più per arti di regno e valore in guerra. Indi lo sbarco si divulgò per tutta l'isola con terrore; e, sedotte da Ruggiero, s'arreser le castella di Milazzo, Novara, Monforte, San Piero sopra Patti, e poche altre. Ma la più parte delle terre d'intorno, non curando lusinghe nè spaventi, tenne per la siciliana causa. Il re d' Aragona, consumati poco men che due mesi senza maggiore acquisto, cercando alla flotta sua un porto vernereccio più capace, pensò impadronirsi di Siracusa. Andovvi allo scorcio d'ottobre, rinforzate prima Je occupate castella; e trovò Siracusa si gagliarda, da non mancare allo antico suo nome.

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Attendatasi la formidabil oste di Giacomo sulla costiera ond'esce in penisola la moderna Siracusa, piccolo

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Veggansi le concessioni feudali in Sicilia fatte da Giacomo a Fulcone Barresio, per diploma del 15 settembre 1298, e a Simone de Belloloco e Filippo di Porta, per altre carte accennate ne' diplomi del 24 luglio 1299 e 28 dicembre 1300, e la intitolazione d'un atto pubblico dato di Novara il 1 luglio 1299; de' quali diplomi, il primo e l' ultimo citansi nel seguito di questo Capitolo, gli altri due nel Cap. XVII. Non abbiam traccia di alcuna delegazione di tanta autorità, che facesse Carlo II a Giacomo. E però è manifesto, che Giacomo la esercitava come capitan generale della Corte di Roma, la quale poco prima avea disposto di dare in feudo a Loria il castel d'Aci, come sopra si è detto. La finzione del cedere l'isola a Roma presto fu dismessa; ma non cessarono le pretensioni di Bonifazio, anzi ne nacque una timida gelosia nella Corte di Napoli, come si argomenta dal diploma di concessione feudale a Virgilio Scordia, Docum. XLVI.

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frammento dell' antica, si sparse depredando per la campagna; drizzò le macchine contro il castello dell'istmo; poi diè furiosi assalti di terra e di mare: e sempre fu niente alla città, forte e fedele, comandata dal pro' Giovanni Chiaramonte. Sdegnò costui fin d'ascoltare i messaggi dello insidioso re d'Aragona. Penetrò una congiura, macchinata da chierici, che per promessa di dignità ecclesiastiche, accoppiando simonía a tradigione, profferíano a' nemici la torre della porta Saccara; i quali furon puniti nel capo. Con estrema costanza i Siracusani patiron la fame: per quattro mesi e mezzo il re d'Aragona indarno li strinse con ogni argomento d'assedio. In questo tratto, di ferro e di morbi scemavasi l'oste; nè più s'allargava in questa orientale, che nella settentrional regione. Buscemi, Palazzolo, Sortino, Ferla, Buccheri, gli s'arresero; e Buccheri pochi di appresso tornò in fede. Mandatovi da re Giacomo il conte d'Urgel a ripigliarla con un forte di cavalli e di fanti, i terrazzani, rustici e fieri, al dir di Speciale, diersi a combatterlo dall' alta lor postura, con una tempesta di selci, talchè mal concio si ritirò. Ma que' ch'a furia di popolo avean vinto, la notte fur presi d' un vano timore che non tornassero i nimici con maggior forza; onde la terra si egregiamente difesa contro gli armati, senz' alcuno assalto abbandonarono. Tal'è senza capi la moltitudine. Tali passioni in quel tempo infiammavano i Siciliani fin delle terre più rozze, ove non son ordini da rendere util valore una natura animosa e pugnace!1

Ondechè Federigo, consigliandosi di far guerra guerriata al nemico che non potea fronteggiare con giu

Nic. Speciale, lib. 4, cap. 5,

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Anon., Chron. sic., cap. 59. Al dir di Marino Sanuto, 1. c., Giacomo andò in Sicilia a Saragozza (Siracusa), e prese il Castello di Milazzo, il castello di Alforte (Monforte) ed altri 8 castelli.

sto esercito, ragunò il più che potea genti a Catania, nè troppo discosto, nè troppo vicino al nimico, per vietargli, senza battaglia, di spargersi per l'isola. Nè perchè la città di Patti, tornata al suo nome, l'invitasse all'assedio della rôcca, ove eransi chiuse le soldatesche nimiche, lasciò Federigo l'importante sua postura. Manda a Patti uno stuol di Catalani sotto Ugone degli Empuri, di Messinesi sotto Benincasa d'Eustazio, di Catanesi sotto Napoleone Caputo e altri Siciliani. Ei da Catania confortava i Siracusani a tener fermo, forse con aiuti, certo con larghe concessioni: franchigia nelle dogane, e abilità a legnare nei boschi regi; e redintegrò i confini antichi del territorio; diè loro la proprietà d'alcuni poderi. Non lungi dal re, Blasco Alagona stava con un pugno d'audacissimi, a volteggiar, dice lo Speciale, intorno i nimici alloggiamenti, come lupo che non osa assalire i mastini, ma rabida fame lo stiga al ratto. In questo tempo, Giovanni Barresi, barone siciliano d' illustre prosapia, ribellatosi da Federigo, per animo non curante del pubblico, ed error di troppa scaltrezza a speculare il privato suo bene, diè agli stranieri le ca

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1 Diploma del 3 gennaio 1299 (per errore 1297 col computo dell'anno dal 25 marzo), pubbicato dal Testa. Vila di Federigo II, documento 9.

2 Parmi che tornino a questo concetto le parole di Speciale: plus sapere quam oportebat attentans, neque intelligens verbum illud: cum possidente possideas. Questo traditore giovò molto alla causa dei nemici, come si vede da un diploma di Carlo II, dato il 1 luglio 1299, nel quale è perdonato e redintegrato ne' suoi feudi, perchè se nella ribellione falli per concorso, oggi ravveduto, osservava la fede al re angioino, animo et opere. Nel regio archivio di Napoli, registro segnato 1299 A, fog. 158 a tergo, e 24 a tergo.

Oltre a questo, il governo angioino, per diploma dato lo stesso di. gli concedea l'aspettativa di altre terre e feudi, del valore d' once cento annuali. Ibid, fog. 158.

Mostra ancora la importanza del Barresi, che fu seguito da un suo fratello per nome Fulcone, un altro documento. A costui, Giacomo re

stella di Naso e Capo d'Orlando nel settentrione, la forte Pietraperzia nel cuore dell' isola. Sperando quivi sicuro asilo, i mercenarj di Giacomo si avventurarono allora a cavalcar il paese più addentro che non soleano. Seppelo Blasco dai suoi rapportatori, e li appostò in Giarratana al ritorno da Pietraperzia. Una notte dunque di folgori e tempesta, mentr' essi, carichi di bottino, venian sicuri al campo, si trovano avviluppati nell' agguato di Blasco, tra sentieri mal noti; nè seppersi difendere, nè trovar via alla fuga. Berengario e Ramondo Cabrera, Alvaro fratello del conte d'Urgel, con più altri andaron prigioni; pochi scamparono. E Blasco, tutto lieto della prima vittoria contro i Catalani, recò a Federigo in Catania le funate de' gregarj, legati a dieci a dieci; e sciolti, sotto buona scorta, gli uomini nobili.

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Più segnalato avvantaggio s'ebbe per mare. Saputo

d'Aragona diè in feudo in Sicilia, a dì 13 settembre 1298, con diploma dato di Milazzo, pe' suoi continui e rilevanti servigi a pro della Chiesa, il castello e casal di Chila, tra Mineo e Caltagirone, con mero e misto impero. Raffermò questa concessione Roberto, a di 10 settembre 1299, da Aidone; e Carlo II da Napoli, a 16 febbraio 1300. Nel regio archivio di Napoli, registro 1299-1300 C; e ne' Mss. della Bibl. com. di Palermo, Q. q. G. 2, fog. 88.

Il Di Gregorio, nella Bibl. arag., tom. II, pag. 520, pubblicò un diploma di Federigo, pel quale furon conceduti a Blasco Alagona il castello e la terra di Naso, posseduti una volta da Giovanni e Matteo Barresi traditori. Questo documento porta la data di Palermo a 26 gennaio, decima ind., anno dell' Incarnazione 1297, e 2o del regno di Federigo: ma io credo errata manifestamente questa data, perchè la decima indiz. cadde bene di gennaio 1297 nell'anno comune, ma nell'anno dell' Incarnazione rispondeva al gennaio 1296. Indipendentemente da tal errore, si può corregger senza alcun dubbio, duodecima ind., gennaio dell'anno dell' incarnazione 1298, ossia gennaio 1299 dell' anno comune; perchè Barresi si ribellò da Federigo al passaggio primo di Giacomo, cioè tra agosto 1298 e la primavera del 1299 dell' anno comune. Il riferisce Speciale, diligentissimo nel descrivere questi tempi di Federigo, ne' quali ei visse ed ebbe alto stato.

1 Nic. Speciale, lib. 4, cap. 6 e 7.

l'assedio del castel di Patti, spiccavansi al soccorso dal campo sotto Siracusa trecento cavalli capitanati dall'ammiraglio, e venti galee cariche di vivanda, con Giovanni Loria. Dei quali l'ammiraglio, con ardire e fortuna, cavalcando per lo mezzo della Sicilia nemica, giunse a Patti, e dileguò l'assedio; perchè le genti di Federigo, com'era intendimento di quella guerra, scansaron venire a giornata e dato lo scambio al presidio del castello, stracco o dubbioso nella fede, velocissimo al campo tornò Ruggiero. Dopo lui giunse a Patti l'armatetta di Giovanni, e vittovagliò anco il castello; ma non fu felice al ritorno. Perchè Federigo, vedendo qual destro gli offriva la fortuna di combattere contro una punta sola delle navi nemiche, sopraccorre di Catania a Messina; gittasi nelle braccia dei cittadini, scongiu randoli a montar sull'armata: nè molto penò a infiammarli, sì che avean allestito sedici galee, quando si seppe da' riconoscitori navigare l'armatetta catalana ne' mari di Mirto; e poi fur viste le prime galee, che abbandonate da' venti, si sforzavan remigando a valicare lo Stretto. S'odono in Messina squillare le trombe per ogni contrada; corrono armati al mare giovani e vecchi; il fratello, scrive Speciale, chiama all' armi il fratello, il padre non respinge i figli che lo seguono al rischio; in tutti è una brama di perire o pigliar vendetta di cotesti Catalani, predon venderecci, venuti a portar guerra ingiusta a'lor liberatori della giornata di Roses. Disordinatamente vogan, dunque, i Messinesi all' affronto con tal furore, che il disordine stesso non nocque. Per breve zuffa, senza molto lor sangue, trionfarono de' nemici, contrariati dal vento: ogni galea messinese ne cattivò una catalana; le altre quattro si salvaron fuggendo; ma Giovanni Loria restò tra i prigioni. Al ritorno de' vincitori, non furono spettacol nuovo a Messina un re pian

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