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(Fama, di nobil core

Quell' ultimo malore

A nascer pronto, a estinguersi più tardo,)

Fama a sprezzar diletti ne sospinge

E a trarre i giorni faticosi e duri;

E allor che più di riportar si spera

Del merto il disïato guiderdone,

Di gloria intorno balenando il lampo

Con improvvisa luce,

La fatal3 Furia, bieca gli occhi, e truce,

Con fórbice abborrita

Scende a troncar la mal-tessuta vita.

"Ma la loda non già"-(Febo rispose,

E nelle orecchie tremole s' infuse ;)

"Non mai d'orpel fallace

"Con mentito splendor sfavilla al mondo,

"Dello spanto romor nemica, Fama;

"Fama pianta non è di mortal suolo,

"Ma vive e si dilata a Giove innante,

"Presso al trono stellante

“Del giudice sovrano

"Che in ogni parte vede, e senza velo :

"Fama vera non è, se non dal cielo."

Oh fontana Aretusa,

Oh Mincio reverito,

Lento sì, ma gradito,

Di canne musicali inghirlandato,

Intesi il santo grido !

Un celeste cantor venne a far dono

Di maggior carme e suono.

Ma la silvestre Musa

Sua fistola riprende,

Desiderosa d'ascoltar l'accorto

Dell' oceano araldo,

Orator di Nettuno, al mesto evento.

Dall' onde ei domandò, dalle onde infide,

E dai venti felloni,

E da ogni spirto, che con ruvide ali

Dai curvi promontori

Imperversa sul mare,

"Qual più funesta sorte

"Trasse sì vago giovinetto a morte?"

Nota a nessuno è sua dolente istoria :

Ed Ippótade il saggio

Lor risposta ne arreca;

"Che non s'era un sol fiato

"Dall' Eolia caverna stranïato;

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E, sotto il ciel sereno,

"La linda chiom-azzurra Panopea

"Sovra l'onda spianata

"S' era, con sue sirocchie, diportata."

Ahi, Licida infelice!

La perfida e fatale navicella

Sotto augúri profani

Nell' eclisse più buja fabbricata,

E tutta intorno armata

Di mormorati maladetti incanti,

Non la bufèra infesta,

Affondò sì la tua sacrata testa.

A passi tardi intanto

Sen venne Camo il vecchio, come sire,

Irsuto il manto, e lo cappel di giunchi

Di cifre strane e note scure impressi,

U' si vedea sul lembo,

Quale al purpureo grembo

Da pennel di dolore

Inscritto appar lo bel sanguigno fiore;

"E dunque, quale indegno

“M'ha tolto (ei grida) il mio più caro pegno?"

Alfin da Galilea 5

Ultimo giunse, ed ultimo partío,

Quel che afferrò due chiavi

E poderose e gravi,

Nè di stesso metal, nè di lavoro,

O che chiuda, o disserri, è il ferro e l'oro :

Fiero crollò la sua mitrata chioma

Quel celestial nocchiero

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