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che, una essendo la nostra fede, una fosse eziandio la maniera di ammaestrare il popolo cristiano nelle credenze religiose e negli uffici di pietà, fu dal Pontefice Pio IV trascelto fra gli altri Vescovi e dottissimi teologi a dettare il Catechismo Romano (1). Quanto poi avesse in pregio Cicerone che non rifiniva mai di leggere, si può scorgere di leggieri da quello che ne ha scritto il celebre Ortensio Landi, scrittore di quei tempi. Costui in alcuni suoi dialoghi ci ritrae il Seripando come ammiratore di Tullio, e lo introduce a ragionare contro chi parlavane con disprezzo (2). E colla lettura dell' Arpinate si andava lavorando lo stile, e talvolta ne toglieva di peso alcune sentenze, o, per dir meglio, le traduceva. E, per passarmi di moltissimi luoghi de' suoi discorsi, in cui chiaro apparisce quanto delle lettere antiche si possa avvantaggiare la Sacra Eloquenza, nella predica decima sul simbolo, egli parlando della Risurrezione di Cristo, e, volendo esaltare la vittoria di Lui sulla morte e sull'inferno, in questa guisa si fa a ragionare: « gli altri imperatori e gran capitani nel << trionfo hanno compagni i capitani minori e gli altri solda« ti, con la virtù e fortezza de' quali si ottengono le vitto<< rie. Per questa cagione molti sogliono nelle cose della guerra « diminuire la gloria de' capitani, dandone una parte a' sol« dati. E molti, per tôrre la gloria a'capitani, attribuiscono <«<le vittorie a varie cagioni: e, quando più non possono, al<< la fortuna ». Non è questo ancora il modo, onde Cicerone nell'orazione a difesa di Marcello volendo levare a cielo la clemenza di Augusto, che perdonò a' suoi nemici, esalta questa ch'ei dice vera vittoria sopra tutte le altre? Chi non

(1) V. Catech. Rom. de auct. et script. ejusdem. Padova. Stamperia del Seminario 1777.

(2) Vedi Tiraboschi loc. cit.

si avvede che sono state dal nostro quasi tradotte le stesse parole dell' oratore Romano?

Ecco quali studi erano in voga in que' tempi, che vider nascere e fiorire il Bembo, il Sadoleto, il Fracastoro, il Borghini, il Sigonio, il Paruta e tanti e tanti altri, de' cui soli nomi empirebbersi parecchie pagine. Ma al dì d'oggi si ha in dispregio siffatta maniera di studi, e coloro i quali arrossirebbero di mostrare che non sanno chi sia Scribe, Dumas ed altri gallici Scrittori, non si vergognano di confessare che lor sono ignote nonchè le opere, i nomi stessi di Cicerone, di Orazio e di Virgilio. E a questa cagione, è pur forza confessarlo, dobbiam recare lo scarso frutto del moderno insegnamento appetto dell'abbondantissimo della istituzione di quei tempi. Ma a tutti gli studi quello antipose della sacra scrittura, sembrandogli, com'è veramente, che quanto di sublime, di utile, di bello si trova sparso e diffuso ne' più lodati scrittori dell'antichità, quivi tutto fosse riunito senza mistura di falso e di reo, e con mirabile accordo di varietà. E tanto svolse e meditò quel divino volume che in breve l'ebbe mandato tutto a mente.

Forniti in giovane età gli studi, fu adoperato nelle scuole del suo ordine, e, mandato in Bologna, vi lesse Teologia. E inoltrandosi negli anni, cresceva in lui parimenti la pietà e la religione, la quale, secondo lui, non dimorava nelle sole pratiche esteriori e minuziose, ma particolarmente in opere magnanime religiose dirette al bene de' simili. Imperocchè era persuaso che non ama debitamente Dio chi non ama i suoi prossimi con quell'amore operoso ch'è la seconda legge dell'Evangelo, e che la Religione allora più guadagna i cuori e gli spiriti ribelli, quando si porge sollecita, tenera, zelante del bene degli uomini. Onde, se egli talora si discostò nel Concilio di Trento dal comune opinare de' Padri, fu solo nell'in

gigantire gli effetti della Redenzione oltre i termini segnati, come quando fece pruova di sostenere nel Concilio di Trento Ja opinione del Gaetani intorno alla salute de' figliuoli che muoiono nel ventre materno. Erronea certamente fu reputata la sua sentenza (1). Ma chi non ammira anche in questo la pietà di quell'anima generosa che avrebbe voluto che tutti partecipassero del prezzo della Redenzione, e che il sangue del divino Agnello fosse un lavacro salutare per tutte le anime? Non è a dire poi quanto abborrisse dalla ipocrisia, e in qual dispregio avesse quella gente dipinta, come la dice il Poeta che col bel colore della virtù ricopre i brutti suoi vizi. Il che facilmente si scorge da un luogo della predica ottava sul simbolo: «Guardatevi, egli dice, di tradir Cristo col bacio, co<< me fanno gl'ipocriti che vanno baciando i crocifissi e le << immagini de' santi, per le mura, e poi odiano il prossimo << loro, e fannogli infiniti tradimenti, non conoscendo che Cri« sto riceve in sè stesso tutto quello di bene e di male che <«< ciascuno fa al suo prossimo ». Egli superiore alle preoccupazioni del volgo cercò sempre colla sua parola disnebbiare gl'intelletti dagli abberramenti della superstizione e dalle imposture degl' indovini. L'astrologia giudiziaria, che pretendeva leggere negli astri il futuro, di cui i più sani tra gli antichi avevano conosciuto la vanità, come si può agevolmente comprendere da un bel frammento di Ennio riferito da Cicerone (2), e da un luogo di Cornelio Tacito (3), fu assai in voga nel secolo XIV. Ed anche a' tempi del nostro durò a essere in credito presso moltissimi e, favorita dallo stesso Carlo V, ebbe particolarmente per cultori Magini e il nostro

(1) V. Pallavicino, Storia del Concilio Trid.

(2) De Divinat. 1.

(3) Tac, Hist, 1, 2,

concittadino Luca Gaurico. Il perchè sovente il Seripando levava la voce contro queste imposture, e soprattutto nella seconda predica sul simbolo alcuni di voi, egli dice, quando vogliono incominciare qualche cosa importante, dove dovrebbono con questa fede ricorrere a Dio, chiedendo a Lui la regola, il tempo, il principio, il mezzo, il fine di ciò che a loro di fare si conviene, ricorrono a' corpi celesti, e dalle costellazioni pigliano il tempo e l'ora di ciò che hanno a fare ec.

In somma pochi, come il Seripando, colsero in tutta l'ampiezza l'idea cattolica: secondo lui vera Religione e civiltà vera camminano, quasi amanti sorelle, tenendosi strettamente per mano. E spesso i suoi sentimenti religiosi tenevan dell'eroico; come quando nelle sue prediche si faceva a confortare i Principi cristiani alla liberazione del sepolcro di Cristo. Per questo pensiero, che, secondo alcuni, egli ebbe comune anche col Tasso, la cui Gerusalemme Liberata era ordinata al medesimo scopo, niuno oserà tassarlo di fanatismo o di superstizione, se per poco si farà a considerare la condizione di quel tempo perciocchè era allora la cristianità in sospetto della potenza ottomana, e particolarmente tra gli anni 1529 e 1582, torme innumerevoli di turchi per ben quattro volte comparvero sotto le mura di Vienna.

Queste rare sue virtù gli meritarono l'affetto e la estimazione de' più illustri letterati del suo tempo, co' quali si strinse in amicizia, e con alcuni ancora usò assai familiarmente. Di costoro ci piace di ricordare Giano Parrasio, Francesco Puccio, Camillo Porzio, Carlo Sigonio, il Poggiano, Scipione Ammirato, Scipione Capece, il quale a lui indirizzò un'elegia (1) e il Sannazaro, col quale visse lungo tempo con grande dime

(1) V. Elegiae IV et Epigrammata. Napoli, 1394,

stichezza, e che lo ricambiò di affetto e di stima (1). Il Seripando mostrò veramente di amarlo assai, quando fece ritrarre per sè le sembianze di quel Poeta in una tavoletta che si conservava nella già famosa libreria di S. Giovanni a Carbonara, e quando presentò a Clemente VII le opere di lui, e procurò che quel Pontefice gli mandasse il breve scritto dal Sadoleto, dove ne leva a cielo non meno l'ingegno che la pietà e la religione; sebbene Crispo da Gallipoli ed altri ciò attribuiscono ad Antonio Seripando, fratello del nostro. Il Porzio più di tutti lo riveriva ed aveva in pregio; anzi egli prese a scrivere l'immortale opera della congiura de' Baroni, spinto singolarmente dalle premure che non rifiniva di fargli il Seripando, il quale gli mostrò pure il desiderio che quella Storia dettasse in volgare, affinchè tornar potesse proficua all'universale. Di tal desiderio del Seripando così scrisse il Soria nelle sue memorie storiche, Tom. II.: Cominciò il Porzio (la congiura) da sè solo, e ne mandò i primi squarci al Cardinal Seripando in tempo che trovavasi Legato nel Concilio di Trento. Costui ne approvò l'idea e lo stile: ma avendo consigliato esser meglio porla in italiano, perchè venisse più generalmente letta, obbligò il Porzio a rifare il già fatto. Ciò poi vien confermato da una lettera del medesimo Seripando al Porzio, portata dal Monzani nel suo Discorso premesso alle opere dello Storico Napolitano (2). E qui reputiamo a proposito di accen

(1) V. La Vita del San. scritta da Crispo da Gallipoli. Bassano 1783. (2) E qui porta il pregio riferire la lettera del Seripando al Porzio: Cresce tuttavia l'obbligo mio con V. S., poichè Ella dice che a mia soddisfazione ha dato principio al distendere i particolari della guerra de' Baroni, raccolti da Lei con tanta fatica; e l'assicuro che ci riuscirà, nè si pentirà giammai di avermi compiaciuto; perchè molto ben conosco che a farlo non le manca nè parola, nè arte, nè ingegno. Duolmi solo di non averla persuasa a scriverla toscanamente; non per

Seripando

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