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terra, di vivere da savii, non del mondo, ma di Dio, con attendere a salvarci l'anima, e praticare i mezzi per salvarla con fuggire le occasioni pericolose, fare l'orazione, e frequentare la congregazione, frequentare i Sagramenti, leggere ogni giorno qualche libro spirituale, ogni giorno (quando si può) sentir la s. Messa, o almeno visitar Gesù Cristo Sagramentato negli altari, e Maria ss. in qualche sua divota immagine. E così diventeremo veri savii, e ce ne troveremo contenti in questa vita, e per tutta l'eternità.

SERMONE VI.

PER LA DOMENICA I. DOPO L'EPIFANIA.

Maria

DELLA MALIZIA DEL PECCATO MORTALE.

Ego et pater tuus dolentes quaerebamus te. LUC. 2, 48.

aria SSma avendo smarrito Gesù in quei tre giorni, non fece altro che piangere per averlo perduto di vista e non lasciò di cercarlo, finchè non lo ritrovò. E come va poi, che tanti peccatori non già perdono la vista di Gesù Cristo, ma perdono la sua divina grazia, e non piangono, e dormono in pace, e non cercano di ritrovarla? Ciò accade, perchè essi non intendono, che viene a dire perdere Dio col peccato. Dice taluno: Io fo quel peccato non per perdere Dio, ma per pigliarmi quel piacere, quella roba d'altri, quella vendetta. Chi parla così, è segno che non intende la malizia del peccato mortale. Che cosa è il peccato mortale ?

Punto I. È un gran disprezzo che si fa di Dio.
Punto II. È un gran disgusto che si dà a Dio.

PUNTO I.

Il peccato mortale è un gran disprezzo, che si fa di Dio.

1. Il Signore chiama il cielo, e la terra a detestare l'ingratitudine, che gli usano gli uomini, che peccano mortalmente, dopo che esso gli ha creati, nutriti col suo Sangue, ed esaltati sino a renderli suoi figliuoli adottivi: Audite coeli, auribus

percipe, terra: filios enutrivi, et exaltavi, ipsi autem spreverunt me. Isa. 1, 2. Chi è questo Dio disprezzato da' peccatori? Egli è una Maestà infinita, a confronto del quale tutti i re della terra, e tutti i beati del cielo sono meno d'una stilla d'acqua, e meno di un' atomo di arena: Quasi stilla situlae, pulvis exiguus. Isa. 40, 15. Iddio in somma è così grande, che tutte le creature a fronte di lui sono tanto picciole, come se non vi fossero: Omnes gentes quasi non sint, sic sunt coram eo. Isa. 40, 17. E l'uomo che l'offende, chi è? risponde s. Bernardo: Saccus vermium, cibus vermium, un sacco di vermi, e cibo di vermi che lo divoreranno nella sepoltura: Miser et miserabilis pauper, et caecus, et nudus. Apoc. 3, 17. È un miserabile che non può niente, cieco che niente sa conoscere, nudo che niente ha. E questo verme ha l'ardire di disprezzare un Dio, e muoverlo a sdegno! Tam terribilem Majestatem audet vilis pulvisculus irritare! dice lo stesso s. Bernardo. Ha ragione dunque s. Tommaso l'Angelico di scrivere, che il peccato mortale ha una malizia quasi infinita: Peccatum habet quandam infinitatem malitiae ex infinitale divinae Majestatis. S. Th. p. 3. q. 2. a. 2. ad 2. E s. Agostino chiama il peccato assolutamente infinitum malum. E perciò l'inferno, e mille inferni non bastano a castigare un solo peccato mortale.

2. Il peccato mortale si definisce comunemente da' Teologi: Aversio ab incommutabili bono. S. Thom. part. 1. q. 24. a. 4. Aversio, viene a dire una voltata di spalle, che si fa al sommo bene. Di ciò si lamenta Iddio col peccatore dicendo: Tu reliquisti me, dicit Dominus, retrorsum abiisti. Jer. 15, 6. Ingrato, dice Dio, io non mi sarei mai separato da te, tu sei stato il primo a lasciarmi; retrorsum abiisti, mi hai voltate le spalle.

3. Chi disprezza la divina legge, disprezza Dio, sapendo già che disprezzando la legge, perde la divina grazia: Per praevaricationem Legis (scrive l'Apostolo) Deum inhonoras. Rom.2, 23. Iddio perchè ha create tutte le cose, perciò è Signore del tutto: In ditione enim tua cuncta sunt posita . . . . tu fecisti caelum, et terram. Esther 13, 9. Quindi è che tutte le creature insensate, i venti, il mare, il fuoco, le pioggie obbediscono a Dio: Venti, et mare obediunt ei. Matt. 8, 27. Ignis, grando, nix, glacies faciunt verbum ejus. Ps. 148, 8. Ma l'uomo quando pecca, dice a Dio: Signore, voi mi comandate,

ma io non voglio ubbidirvi; mi comandate ch' io perdoni quella ingiuria, ma io voglio vendicarmi: mi comandate ch'io lasci la roba d'altri, ma io voglio pigliarmela: volete ch' io mi astenga da quel piacere disonesto, ma io non voglio astenermene: Confregisti (dice Dio) jugum meum, rupisti vincula mea, et dixisti non serviam. Jer. 2, 20. In somma il peccatore, allorchè rompe il precetto, dice a Dio: io non vi conosco per mio Signore: come appunto rispose Faraone a Mosè, quando Mosè gl'impose da parte di Dio, che lasciasse in libertà il suo popolo: Quid est Dominus, ut audiam vocem ejus, et dimittam Israel? nescio Dominum. Exod. 5, 2.

4. Cresce il disprezzo, che si fa a Dio col peccato, considerando la viltà de' beni: per i quali il peccatore offende Dio: Propter quid irritavit impius Deum? Ps. 10, 13. Perchè da tanti si offende Dio? per un fumo, per uno sfogo d'ira, per un gusto di bestia! Violabant me propter pugillum hordei, et fragmen panis. Ezech. 13, 19. Si disprezza Dio per un pugno di orzo, per un pezzo di pane. Oh Dio! e perchè ci facciamo ingannare così facilmente dal demonio? Dice il Profeta Osea (12,7.): In manu ejus statera dolosa. Perchè non pesiamo le cose colla bilancia di Dio, che non può ingannarci, e vogliamo pesarle colla bilancia del nemico, il quale non cerca altro che ingannarci per condurci seco all'inferno? Domine, quis similis tibi? dicea Davide, Ps. 34, 10. Iddio è un bene infinito; ond'è che quando si vede posto a confronto da' peccatori con quel poco di terra, con quella misera soddisfazione, con ragione si lamenta per Isaia, e loro dice: Cui assimilastis me, et adaequastis me? dicit Sanctus. Isa. 40, 25. Dunque presso di te valeva più quel vil piacere, che la grazia mia? Che per ciò mi hai posposto a quello? Projecisti me post corpus tuum: Ezech. 23, 25. Dunque soggiunge Salviano: Nullus pene apud homines vilior est, quam Deus. Lib. 5. adv. Avar. Iddio è stato così vile agli occhi tuoi, che ha meritato di esser posposto alle cose miserabili di questa terra?

5. A s. Clemente il Tiranno gli fece porre avanti un mucchio di oro, di argento, e di gemme, per dargliele se rinunziava alla fede di Gesù Cristo; il Santo allora diede un gran sospiro, considerando la cecità degli uomini, che metteano un poco di terra a confronto di Dio. Ma molti peccatori per molto meno di ciò cambiano la grazia di Dio; si attaccano a certi

miseri beni, e lasciano Dio, ch'è un bene infinito, e che solo può farli contenti. Di ciò si lamenta il Signore per Geremia, e prima parla ai cieli, che si stupiscano, e si spiantino le sue porte per l'orrore: Obstupescite Coeli super hoc, et portae ejus desolamini vehementer; e poi soggiunge: Duo enim mala fecit populus meus; me dereliquerunt fontem aquae virae, et foderunt sibi cisternas dissipatas, quae continere non valent aquas. Jerem. 2, 12, et 13. Noi ci maravigliamo dell' ingiustizia, che i Giudei fecero a Gesù Cristo, quando Pilato, proponendo loro chi volessero liberato, Gesù, o Barabba, quelli risposero: Non hunc, sed Barabbam. Jo. 18, 40. Peggio fanno i peccatori, i quali, proponendo loro il demonio, chi vogliono eleggere, se quel gusto di vendicarsi, quel piacere schifoso, l'intento di vincere quel puntiglio, o Gesù Cristo? rispondono: Non hunc, sed Barabbam, cioè il peccato.

6. Dice Dio: Non erit in te Deus recens. Ps. 80, 10. Io non voglio che lasci me tuo vero Dio, e ti faccia un Dio nuovo, a cui ti metti a servire: sì, perchè dice s. Cipriano, che ciò che l'uomo preferisce a Dio, lo rende suo Dio; mentre lo rende suo ultimo fine, quando il nostro ultimo fine è Dio solo: Quidquid homo Deo anteponit, Deum sibi facit: E s. Geronimo scrive (in Ps. 80.) Unusquisque quod cupit, si veneratur, hoc illi Deus est. Vitium in corde est idolum in altari. Quella creatura, che viene anteposta a Dio da alcuno, diventa per lui il suo Dio; onde dice il s. Dottore, che siccome i gentili adoravano gl'idoli negli altari, così i malvagi adorano il peccato nei loro cuori. Il re Geroboamo, quando si ribellò da Dio, procurô di tirare il popolo ad adorare gl'idoli, com' egli facea: onde un giorno mettendogli avanti gl'idoli suoi, gli disse: Ecce Dii tui, Israel. 3. Reg. 12, 28. Così fa il demonio; presenta al peccatore quella soddisfazione, e dice: Che ne vuoi fare di Dio; ecco lo Dio tuo, questo diletto, questo danaro, questa vendetta; prenditi questa, e lascia Dio. E'l peccatore, quando acconsente, così fa, lascia Dio, e adora per Dio nel suo cuore quella soddisfazione: Vitium in corde est idolum in altari.

7. Cresce di più il disprezzo, che fa di Dio il peccatore, peccando nella sua presenza. Scrive s. Cirillo Gerosolimitano (Catech. 4.), che alcuni popoli aveano costituito il sole per loro Dio, acciocchè nella notte, in cui non v'è il sole, potessero fare quel che voleano, pensando che allora non vi era Dio che li punisse:

Alii solem ponebant Deum, ut occidente sole sine Deo essent. Questi miseri ingannati, facendo così, anche peccavano; ma almeno aveano quel riguardo di non peccare alla presenza del loro Dio; ma il cristiano sa, che Dio sta da per tutto, e tutto vede; dice Dio per Geremia (23, 24.): Coelum et terram ego impleo; e con tutto ciò non si astiene il peccatore di offendere Dio, e provocarlo a sdegno avanti gli occhi suoi: Ad iracundiam provocat me ante faciem meam. Isai. 65, 3. Onde dice poi il Signore, che il peccatore, non ripugnando di peccare avanti di lui suo giudice, lo fa anche testimonio de' suoi peccati: Ego sum judex, et testis. Jer. 29, 23. Scrive s. Pier Grisologo: Excusatione caret, qui facinus, ipso Judice teste, committit. Per chi commette un delitto, del quale è testimonio lo stesso giudice, non vi è alcuna scusa, che possa giovargli. Questo pen. siero di aver offeso Dio avanti gli occhi suoi, era quello che più facea piangere Davide; dicendo a Dio: Tibi soli peccavi, et malum coram te feci. Ps. 50, 6. Ma passiamo al secondo punto, in cui maggiormente vedremo, quanto è grande la ma lizia del peccato mortale.

PUNTO II.

Il peccato mortale è un gran disgusto, che si dà a Dio.

8. Non vi è disgusto più amaro, che il vedersi maltrattato da una persona amata e beneficata. Il peccatore chi disprezza? disprezza un Dio, che gli ha fatti tanti beneficii, e l'ha amato sino a morir crocifisso per amore di lui; e l'uomo facendo un peccato mortale, discaccia Dio dal suo cuore. Un'anima che ama Dio è amata da Dio, e viene Dio stesso ad abitare in essa: Si quis diligit me, Pater meus diliget eum, et ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus. Jo. 14, 23. Sicchè il Signore non si parte da quell'anima, se ella non lo discaccia, ancorchè sapesse Dio, che quella tra poco tempo l'ha da discacciare: Non deserit, nisi deseratur, come parla il Concilio di Trento.

9. Quando poi l'anima consente al peccato mortale, allora dice a Dio l'ingrata: Signore, partitevi da me: Impii dixerunt Deo: recede a nobis. Job. 21, 14. Non lo dice colla bocca, ma col fatto, come avverte san Gregorio: Recede, non verbis, sed moribus. Già sa il peccatore, che Dio non può stare col

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