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PROFESSIONE DI FEDE

O PARAFRASI IN TERZA RIMA

DEL CREDO, DE' SACRAMENTI, DEL DECALOGO, DEI VIZI CAPITALI,
DEL PATER NOSTER E DELL' AVE MARIA.

Notizia letteraria del motivo che indusse DANTE a comporre il Credo, estratta dal Codice 1011 della Riccardiana di Firenze.

Poi che l'autore, cioè Dante, ebbe compiuto questo suo libro (la Divina Commedia), e pubblicato, fu studiato per molti solenni uomini, e maestri in teologia, e in fra gli altri di Frati Minori, e trovarono in uno capitolo del Paradiso, dove Dante fa figura che

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Questa Notizia fu dal Rigoli premessa al Credo, o Profession di- fede di Dante, ch'egli riprodusse confrontato coi Codici della Riccardiana nel Saggio di Rime di diversi buoni Autori, Firenze 1825. Ho riportato inferiormente le varianti che presenta tale edizione, inserendo nel testo quelle che evidentemente migliorano la lezione del Quadrio, ma riportandone la lezion rifiutata. Ecco quanto intorno al Credo dice il Rigoli nella Prefazione del libro citato:

<< Non si potrebbe aprire la nostra >> Collezione con nome più insigne. » Dante merita il primato, e per la » sua celebrità, e per l'ordine cro»nologico che ci siam proposti di » seguire nella disposizione delle ri>> me medesime. Diamo di lui la sua >> Protesta di fede che contiene il >> Simbolo degli Apostoli, la spiega»zione de' Sacramenti e del Deca» logo, l' enumerazione de' vizi ca» pitali e la parafrasi dell' Orazione » domenicale, e della Salutazione >> angelica in terza rima..... Questa >> Professione di fede fu già pubbli>> cata nel secolo XV; e quindi ri>> dotta all ortografia moderna; ma >> da noi volentieri si riproduce, poichè le cure impiegatevi ci han

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»> no posto in grado di presentarla » in stato più conforme alla mente >> del suo autore. L'abbiamo primie» ramente confrontata con dodici » MSS. della Biblioteca Riccardia»> na, e colle edizioni del quattro» cento, e per tal mezzo è stata ac>> cresciuta la terzina XXVI, la qua» le comincia Ma sol di quell' eler >> no ec. mancante in tutte le stampe, » e si sono riportate le varianti di maggiore importanza, seguitando >> su questo proposito il Salviati negli Avvert. sulla lingua, lib. I, » cap. 6, il quale parlando di vari >> testi a penna, dice così: a niuno » di loro si va dietro del tutto, ma di » ciascuno si prende il buono, e nel » non buono si abbandona. Vi ab>> biamo ancora premessa la Notizia » letteraria del motivo che lo indus>>se a comporla: non è a noi palese >> che sia stata riferita da altri, ma »> non osiamo proporla per vera. » Dessa fu estratta dal Codice 1011 » della Riccardiana: per altro se ne » dà un accenno in altri due Codi»ci della medesima Biblioteca, cioè, » in quello segnato di n° 1154 ove. » si legge: Concione, la quale mandò » Dante Aldighieri da Florencia, es» sendo accusato per eretico al Papa;

} truova San Francesco, e che detto San Francesco lo domanda di questo mondo, e sì come si portano i suoi Frati di suo Ordine, de' quali gli dice, che istà molto maravigliato, però che da tanto tempo ch'è in Paradiso, e mai non ve ne montò niuno, e non ne seppe novella. Di che Dante gli risponde sì come in detto Capitolo si contiene. Di che tutto il convento di detti Frati l'ebbono molto a male, e feciono grandissimo consiglio, e fu commesso ne' più solenni maestri, che studiasseno nel suo libro se vi trovasseno cosa da farlo ardere, e simile lui per eretico. Di che gli feciono gran processo contro, ed accusaronlo allo 'nquisitore per eretico, che non credea in Dio, nè osservava gli articoli della fè. E' fu dinanzi al detto inquisitore, ed essendo passato vespero, di che Dante rispose, e disse: Dalemi termine fino a domattina, ed io vi darò per iscritto com' io credo Iddio: e s'io erro, datemi la punizione ch' io merito. Di che lo 'nquisitore gliel diè per fino la mattina a terza. Di che Dante vegghiò tutta la notte, e rispose in quella medesima rima ch'è il libro, e sì come si seguita appresso, dove dichiara tutta la nostra fè, e tutti gli articoli, che è una bellissima cosa e perfetta a uomini non litterati, e di bonissimi assempri e utili, e preghiere a Dio e alla Vergine benedetta Maria, sì come vedrà chi lo leggerà, che non fa bisogno avere, nè cercare altri libri per sapere tutti i detti articoli, nè i setti peccati mortali, che tutto dichiara sì bene e sì chiaramente, che si tosto come lo 'nquisitore gli ebbe letti con suo consiglio in

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>> e nell' altro di no 1691, si ha: Uno » Capitolo di Dante sendo stato accu»sato allo'nquisitore, scusandosi di»cie così, e fa questa risposta. Se ci diamo la briga di esaminare a qual grado fosse la cultura a tempo » dell'Alighieri, non ci dee sorpren» dere se egli cadde in sospetto, e >> venne in tal guisa accusato. Mat>> teo Ronti monaco di Monte Uli>> veto Maggiore avendo tradotta >> nell'anno 1380, o in quel torno, in >> versi latini la Commedia di Dante, » ci dice che egli dovette soffrire >> per parte del suo superiore l'umi>> liazione di vedersi ridotto alla >> condizione laicale. Ci racconta il >> Boccaccio nella Vita di Dante (Fi>> renze 1733, pag. 259) che il libro >> De Monarchia più anni dopo la DANTE. - 1.

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» morte dell'autore fu dannato da » messer Beltramo cardinale del Pog» getto, e legato del Papa nelle parti » di Lombardia, perchè per argu» menti teologici pruova l'autorità » dell' Imperio immediatamente procedere da Dio, e non mediante alcuno suo vicario, come li cherici pare » che vogliano. A pag. 260 ci dice che » il medesimo porporato diede alle fiamme il detto libro, e il simiglian»te si sforzava di fare delle ossa del» l'autore, se a ciò non si fosse oppo»sto un valoroso e nobile cavaliere fiorentino, il cui nome fu Pino della Tosa, il quale allora a Bologna, » dove ciò si trattava, si trovò, e con » lui messer Ostagio da Polenta, po» tente ciascuno assai nel cospetto » del Cardinale di sopra detto. »

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presenzia di XII Maestri in teologia, li quali non seppono che si dire nè allegare contro a lui: di che lo 'nquisitore licenziò Dante, e si fe' beffe di detti Frati, i quali tutti si maravigliarono come in sì piccolo tempo avesse potuto fare una si notabile cosa in rima ec.

PROFESSIONE DI FEDE.

lo scrissi già d'amor più volte rime,'
Quanto più seppi dolci, belle e vaghe,
E in pulirle adoprai (a) tutte mie lime.
Di ciò son fatte le mie voglie smaghe,3
Perch' io conosco avere speso invano
Le mie fatiche, e d'aspettar (b) * mal
Da (c) questo falso amor omai la mano
(a) Ed in pulirle oprai (b) ed aspetto

'Le Amorose Rime di Dante formano i primi quattro libri de' dieci, in che sono scompartiti i Sonetti e Canzoni di diversi antichi Autori Toscani, raccolti da Bernardo Giunta e impressi in Firenze nel 1527 in 8o, e poi in Venezia nel 1532, e i cinque dei dodici, in che queste stesse Poesie, accresciute, furono ristampate in Venezia per Cristoforo Zane nel 1731 e 1740, in 8°.

2 Tutta l'industria e l'ingegno: metafora, che piacque anche al Petrarca; onde adottolla in quel verso del suo Son. Vergognando talor:

Ne opra da polir con la mia lima.

3 Smaghe, cioè, mutate, dalla voce smagare, che è provenzale, come ben disse il Bembo; ed è formata da image, e da es, che è l' ex de' Latini, onde esmagare, smagare, cioè, trarre, o uscir d'immagine, e smagato e smago per sincope, cioè, tratto d'immagine, cangiato, e simil cosa. Quindi il Castelvetro e il Menagio errarono amendue, i quali, negando, che detta voce fosse provenzale, si

5

paghe.

(c) Di

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presero a ribattere il Bembo. E il primo la volle in Italia dalla Grecia venuta, e trassela dal greco machomai, che val combattere, colla giunta della s, dando alla medesima poi la significazione, che mai non ebbe, di superare, vincere ec. Il se condo a' Latini ascrivendola, con modo veramente da ridere, la derivò da exvagare, formandone prima svagare, e poi sbagare, e al fine smagare.

[Smago o smagato, partic. di smagare, non è da ex e image, ma da ex e mage, V. la nota 9 alla Ball. III.] Sottintendi, conosco d' aver ad

aspettar.

5 Troncamento di male, licenza da' poeti usata. Così Dante da Maiano (Canz. Giovane Donna dentro al cor) disse person, invece di persone, e il Boccaccio schier invece di schiere (Teseid., lib. VI), e tremol frondi invece di tremole frondi (Vis.); e Fazio degli Uberti mortal ferute, invece di mortali ferute, ec. (Dittam.)

Male paghe, mal frutto, cioè il doverne aver da Dio la pena.

A (a) scriver più di lui io vo' (b) ritrare,1
E ragionar di Dio, come Cristiano.2
I. Io credo in Dio (c) Padre, che può fare

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Tutte le cose (d), e da cui tutti i beni
Procedon sempre di ben operare (e). 3
II. Della cui grazia Terra e Ciel son pieni, "
E da lui furon (f) fatti di nïente,
Perfetti, buoni, lucidi e sereni.

III. E tutto ciò (g), che s'ode, vede e sente,
Fece l'eterna sua bontà infinita,

E ciò, che si comprende con la mente.

I. Credo in unum Deum Patrem omnipotentem,
II. Factorem cœli et terræ,

III. Visibilium omnium et invisibilium.

(a) Di

(b) di lui voglio

(c) in uno

(d) Ciò che a lui piace

Con un sola, sincopato da ritirare per licenza poetica in grazia della rima; non da ritrarre: sebbene nel Sonetto Dagli occhi della mia donna usò questo poeta la libertà di dire anche ritrare invece di ritrarre, così scrivendo:

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Si veggion cose, ch' uom non può ritrare.

[Non da ritirare si fece per contrazione ritrare, ma da ritrare.] 2 Ottimo esempio da imitarsi da ogni altro simigliante compositore. Egregiamente qui Dante spiega la voce onnipotente, dicendo, che non solo Dio può fare tutte le cose ma che in effetto tutte le cose son da lui fatte, contro a' Manichei, e alle loro Sette: da che ogni cosa data, che sia ottima, e ogni dono, che sia perfetto, come dice l'Apostolo San Jacopo (Epist. Can., cap. 1), ci vien di sopra, e ci scende dal Padre de' lumi. E perchè i Pelagiani e i

(e) Procedon di ben dire e d'ope.

rare

(f) E che da lui son fatti
(g) quel

loro fautori, Cassiano, Fausto ed altri, stimavano, che potesse l'uomo da se alcuna cosa volere, e fare in quell' ordine almeno, che alla pietà e alla salute s' aspetta; però qui Dante espressamente confessa di credere colla Chiesa Cattolica, che da Dio solo i beni tutti, cioè tutte le forze di ben operare procedono, di modo che l'uomo da se non può nè amar Dio, neppur come autore della natura, e imperfettamente, senza l'aiuto della grazia, ně può pure da se disporsi, sì che per questa sua disposizione la gra zia gli sia conferita, che è ciò, che Cristo stesso insegnò nell' Evangelio (Ioan., cap. XV, n. 5): Senza me non potete far nulla.

Perchè Dio è immenso, e ogni cosa è effetto di sua bontà. E forse ch' io non empio il Cielo e la Terra, dice egli appo Geremia (cap. XXIII, n. 14)?

IV. E credo, ch' ei l'umana carne, e vita

Mortal prendesse nella (a) Vergin santa,
Maria, che co' suoi preghi ognor (b) ci aita :
E che l' umana (c) essenza tutta quanta
In Cristo fosse nostro, santo (d) e pio,3
Siccome Santa Chiesa aperto canta."
V. Il qual veracemente è (e) Uomo e Dio,
Ed unico Figliuol di Dio, nato
Eternalmente, e Dio di Dio uscio (f). 5

VI. Non fatto manual, ma generato (g)

IV. Et in unum Dominum Jesum Christum,

V. Filium Dei unigenitum, et ex Patre natum ante omnia sæcula: Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de

Deo vero;

VI. Genitum non factum, consubstantialem Patri, per quem omnia facta sunt.

(a) en la

(b) pur
(c) E la divina
(d) padre

La Divinità del Verbo si dice incarnata per l'union con la carne. Ciò è, che qui Dante professa di credere, contra varie Sette d'antichi e moderni Eretici, Nestoriani, Anabattisti ed altri, i quali insegnavano, che Cristo non avea presa vera carne dalla Vergine.

La maternità è quella precipua ragione, che fonda in Maria l'efficacia della sua intercessione. Perciò Dante per confermare vie più la sua credenza di tal vera maternità, aggiunge: Che co' suoi preghi ec.

Gli Eutichiani, i Valentini, i Manichei ed altri negavano, che in Cristo fosse la vera umanità. Questo è, a cui contraddice qui Dante colla Santa Chiesa, confessando esser veramente in Cristo tutta l'umana essenza, cioè, la natura umana, della medesima spezie che la nostra, in uno colla natura divina,

(e) Il qual fu veramente

(f) Unico di Dio figliuol, di Dio nato, Eternalmente Iddio di Dio uscio (g) ma 'ngenerato

senza che l'una sia nè convertita nell' altra, nè confusa coll' altra..

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Accenna le parole di questo Simbolo: E s'è incarnato per opera dello Spirito Santo nel ventre di Maria Vergine, e s'è fatt' Uomo: parole, e simbolo, che sovente la Chiesa canta ne' suoi Uffizi Divini.

5 Contra Ebione e Cherinto, che contendevano, che Cristo fosse puro uomo,confessa che è veracemente uomo e Dio: e contra gli Eunomiani, che dicevano, che era Dio, ma solo per analogia, o per equivoco, confessa, che è l'unico figliuolo di Dio; e contra i predetti Ebione, Cherinto ed altri, che volevano che Cristo avanti l'Incarnazione non fosse stato, che nella mente di Dio in idea, confessa ch'esso figliuolo di Dio è veracemente nato ab eterno, e quegli, che uscì Dio di Dio, per comunicazione della stessa natura.

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