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credi. Ma checchè siasi della causa, del fatto ci dà pruova la concessione, che nel 1193 il legato imperiale Bertoldo fece al vescovo di Ascoli, il quale così ci si mostra fautore dell'impero, dei territorii di S. Egidio, di Lempa, di Collepagano « et quid quid Comes Raynaldus Aprutii vel homines sui in Fundaniano (oggi Fuci<< gnano giusta il Palma) (1) hactenus possederunt, et << ius patronatus et dominium, quod idem Comes Ray<< naldus asserebat se in Abbatia Montis sancti habere ». come ha il diploma di Bertoldo pubblicato dall' Ughelli(2) e da noi riprodotto in fine (doc. XXI).

E gli stessi feudi poi furono confermati alla chiesa ascolana dell'imperatore Enrico VI con due diplomi. Col primo dei 26 di luglio del 1194, da noi pur dato per intero (doc. XXII), egli, confermando la donazione, dice, che quei beni « videbantur pertinere » al conte Rainaldo e ai suoi militi, ciò che finisce a provare la disgrazia, in cui era caduto il nostro conte. Col secondo diploma dei 30 di marzo del 1195 intimò l'imperatore agli abitanti degli stessi feudi di prestare omaggio e fedeltà al vescovo di Ascoli; e anche quest'atto noi riportiamo in queste pagine (doc. XXIII). E così vediamo per tre volte, nel 1185, nel 1194 e nel 1195, cedute al vescovo di Ascoli le terre del conte aprutino ai confini ascolani. Ciò era frutto, abbiamo detto, della disgrazia imperiale; ma questa triplice concessione delle stesse cose per noi mostra pure, che quel vescovo vi aspirasse come a proprio territorio. Se non che, ripetiamo, quei paesi finirono col tornare e rimanere poi sempre al vecchio suolo teramano.

(1) PALMA, op. cit. vol. I, cap. XXXII.
(2) UGHELLI, Italia sacra, in Ascul.

11. Non sappiamo se da tale disgrazia il conte Rinaldo più si rilevasse e neppure quanto tempo vi sopravvivesse; ma certo questo non fu lungo, nè totale dovette essere la perdita della contea, giacchè ne vedremo più innanzi (n. XX) il figlio Monaldo fregiato del titolo di conte aprutino. È da credersi perciò, che il conte Rinaldo perdesse soltanto i villaggi nominati nei suddetti tre atti imperiali e qualche altro dell'antico territorio, perocchè con altro diploma imperiale dei 10 di aprile del 1195 (1) Enrico VI donava a Berardo, suo cappellano ed arcidiacono di Ascoli, S. Omero e Acquaviva, feudi che abbiamo veduto (n. XV, § 10) appartenersi ai conti de Aprutio. Certo però non tutta la contea perdette Rinaldo e la sua famiglia, giacchè appunto in quest'ultimo diploma si aggiunge, che gli uomini di S. Omero « nulli etiam Comitum vel homi<< num illius terrae hominium sive fidelitatem faciant ». Dunque i conti aprutini continuarono a godere, dopo quelle diminuzioni, almeno parzialmente della loro autorità.

12. Dal vivace e colorito racconto del contemporaneo cronista di Carpineto spicca evidente il carattere del nostro Rinaldo: egli vi appare vendicativo contro chi non era riguardoso ai suoi diritti, venale nel render giustizia e astuto nella condotta politica. Il buon monaco Alessandro, piena la mente delle gravi iatture cagionate al suo diletto monastero da Rinaldo, come ce ne manifesta i vizii, non ce ne rivela i pregi, i quali, anch'essi, comune dote dell'umana natura, non doveano venir meno neppure nel nostro personaggio.

(1) UGHELLI, op. e loc. cit.

XX. MONALDO, CONTE DI APRUZIO

SOMMARIO: 1. Fu figlio del precedente Rinaldo I. - 2. Caduto in disgrazia dell'imperatore Federico II per aver favorito la parte pontificia, perdette contea e patria. – 3. Partecipò egli probabilmente alla guerra del 1229 contro l'imperatore durante l'invasione papale del regno. 4. Mori forse in esilio prima del 1252. 5. Egli portò sicuramente il titolo di conte di Apruzio, ma questa contea più non riebbe la sua famiglia.

1. Che Monaldo sia nato dal precedente conte Rinaldo I, abbiamo una prova autentica nella lettera del 1252 di papa Innocenzo IV da noi scoperta nell'archivio segreto Vaticano e riguardante la legittimazione dei figli di questo Monaldo e perciò data qui in fine tra i nostri documenti (doc. XXVI). Quivi appunto Rinaldo I appare avo di questi figli.

2. Ma le notizie più importanti sul conte Monaldo si traggono dall'altra lettera papale del 1264 di Urbano IV, che diamo pure nell'appendice (doc. XIX) e che con la precedente abbiamo noi stessi trascritto dall'originale vaticano. Non la prima, ma questa seconda fu nota all'Antinori, che ne trasse le notizie su questi ultimi conti di Apruzio (1). Ma noi, prima di parlarne, vogliamo accennar qui agli eventi, nei quali fu travolto il nostro conte. Intanto noteremo, che non si hanno più memorie dei conti aprutini dal 1195, allorquando cioè,

(1) ANTINORI, Mem. stor. abruzz. vol. II, pp. 110 e 112. Napoli, 1782.

facendosi menzione per l'ultima volta del conte Rinaldo I, lo si scorge caduto in disgrazia dell'imperatore Enrico IV. Morto costui nel 1197 e successogli Federico II sotto la tutela di papa Innocenzo III, e vinta la lotta contro il competitore Ottone IV invasore del regno e devastatore del contado aprutino nel 1209, siccome narrammo nella parte storica (§ 21), venne egli in dissidio con papa Gregorio IX, specialmente perchè il luogotenente imperiale nel regno, Rinaldo, duca nominale di Spoleto, aveva occupata nel 1128 la Marca sino a Macerata (1). Il papa allora mandò due eserciti ad invadere il regno; se non che, dopo brevi vicende guerresche ed essendo tosto seguìto il ritorno di Federico II dalla Terrasanta, Gregorio IX s'indusse a far con questo la pace, che fu sottoscritta in S. Germano ai 9 di luglio del 1230. Sappiamo dal registro di Federico II, pur dal Palma (2) riportato, che in quella circostanza Teramo, fedele alle sue tradizioni, si mostrò guelfa; e tale pure si chiarì Monaldo, come ci fa certi la lettera suddetta di Urbano IV.

3. In questa lettera dunque si dice che Roberto, figlio del conte Monaldo in quell'anno 1264 già defunto, aveva esposto al pontefice, che suo padre per la fedeltà mostrata alla Chiesa romana era stato spogliato della contea di Apruzio e bandito dal regno dal fu imperatore Federico II. E tale disgrazia di Monaldo dovett'essere cagionata solo dalla partecipazione sua alla suddetta guerra del 1230; purchè non voglia supporsene la causa nel rifiuto suo di prender le armi contro le città lombarde combattenti allora per la propria libertà; e ciò malgrado l'ordine impartito nel 1239 da quell'im

(1) RYCC. DE S. GERMANO, Chron. ad an. 1229.
(2) PALMA, op. cit. vol. II, cap. XXXIII.

peratore ai baroni già seguaci della parte pontificia e a quelli, come ha il cronista Riccardo (1), « praecipue, << qui sunt in confino Regni », e tra i quali era appunto il nostro Monaldo. Ma è pur uopo considerare, che, se egli avesse preso parte alla guerra pontificia del 1230, sarebbesi trovato già bandito dal regno nel 1239 e quindi non avrebbe potuto essere in grado di ricevere il comando imperiale di marciare in Lombardia. Non si può quindi andar sicuri della cosa, ma a noi appare più verosimile la prima ipotesi.

4. L'altra lettera papale del 1252, indirizzata ai figli del « quondam Monaldi de Aprutio», ci assicura, che costui era già passato di vita in esso anno 1252; e dovette morire in terra d'esilio, purchè egli non fosse morto proprio nello stesso anno o nell' antecedente 1251. quando, per la dominazione pontificia seguita allora nelle nostre contrade, ei poteva esser tornato in patria.

5. In questa lettera il nome di Rinaldo non va adorno del titolo di conte. Ma egli fu tale certamente, giacchè nell'altra di Urbano IV del 1264 (doc. XXIX) il defunto Monaldo due volte è detto conte, e, meglio ancora, ivi vien mentovato anche il suo « Comitatum « Aprutii », che gli avea tolto l'imperatore Federico e che più non riebbe la famiglia di lui.

(1) RYCC. DE S. GERMANO, Chron. ad an. 1239.

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